Ormai il sorriso velato e al contempo provocatorio che si stampa sul volto di Greta Thunberg quando viene presa sottobraccio e arrestata dagli agenti di polizia è riconoscibile. D’altronde, sa a cosa va incontro quando decide di sfidare i colossi del fossile. E così è stato anche ieri, a Londra.

LA MANIFESTAZIONE, organizzata dal gruppo Fossil Free London, ha convogliato centinaia di persone da tutto il mondo di fronte all’hotel Intercontinental Park Lane, la sede dell’Energy Intelligence Forum (Eif), in protesta contro i rappresentanti dell’industria fossile riuniti lì per tre giorni.

«La stessa mattina io e Greta avevamo organizzato una contro-conferenza per parlare dei danni reali che fanno queste aziende», racconta al manifesto Robin Wells di Fossil Free London. Total Energies, Shell, Eni, la saudita Aramco, la norvegese Equinor e -in rappresentanza del governo Sunak – il ministro per la Sicurezza energetica e l’Obiettivo emissioni zero, Graham Stuart. «Sono decenni che si incontrano a porte chiuse, eravamo lì per dire basta ai disastri e danni che stanno causando», continua l’attivista.

La disobbedienza civile messa in atto ieri da Fossil Free London fa parte della campagna Oily Money Out, che porterà i manifestanti a protestare durante tutti e tre i giorni della conferenza e ieri ha visto un blocco stradale e l’affissione sul tetto di un cartello da parte di Greenpeace: «Costringete le grandi compagnie petrolifere a pagare».

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Doveva esserci anche il presidente della Cop28 (in programma dal 30 novembre al 12 dicembre a Dubai) Ahmed al-Jaber, anche Ceo della compagnia petrolifera Abu Dhabi National Oil Corporation (Adnoc), ma quando ha saputo delle proteste, spiegano gli attivisti, è scomparso dalla lista dei relatori. In vista della riunione che riunisce i paesi ogni anno per intensificare l’azione contro la crisi climatica, la figura di al-Jaber rappresenta l’indignazione degli ambientalisti: la promessa di una transizione verde, ma una realtà ancora legata al fossile.

«QUANDO è arrivata la polizia non ci spiegavamo perché stesse correndo, noi eravamo fermi in strada». Insieme a Greta Thunberg almeno altre 27 persone sono state arrestate: «Sono entrati nella folla e hanno strattonato. Quando hanno preso Greta gli abbiamo chiesto in che stazione la stessero portando ma non ce l’hanno voluto comunicare», spiega Robin. Secondo i manifestanti, la maggior parte degli arresti sono stati mossi dalla sezione 14 del Public Order Act che impedisce le proteste in aree particolari. La custodia nel Regno unito dura tuttavia 24 ore, a meno che non sussistano «condizioni particolari». «Ci aspettiamo che a breve la rilascino».

Lo sguardo complice di Greta, quel sorriso iroso, ma centrato e fiero, è lo stesso delle proteste di quest’estate contro l’espansione della centrale a carbone a Luzerath, in Germania, o quando, solo qualche giorno fa, veniva portata via dagli agenti dopo una protesta contro la costruzione di un parco eolico a Oslo a protezione degli indigeni Sami. Quel sorriso non può diventare familiare. La giovane è consapevole che la politica e l’attivismo per avere un impatto reale devono scomodare, perciò la decisione di lasciare il megafono ad altre persone.

L’anno scorso non partecipò alla Cop27 in Egitto e dichiarò di voler lasciare spazio ad attiviste e attivisti provenienti dai paesi più vulnerabili alla crisi climatica. Thunberg fotografa infatti una fetta di popolazione molto ampia, che supera i confini svedesi, europei, occidentali, e il suo arresto è un fenomeno che rende chiara la repressione verso l’attivismo climatico. Incarnare una lotta dietro un volto è simbolico, è utile: riconoscere il sorriso che entra nella camionetta lo imprime negli occhi di chi guarda.

NON VA SCORDATO, tuttavia, che insieme a lei almeno altre 27 persone venivano portate via dalle forze di Scotland Yard e che gli arresti di attivisti climatici sono all’ordine del giorno in tutto il mondo. Secondo il rapporto del 2022 dell’OngGlobal Witness sono almeno 1.733 gli attivisti ambientali uccisi negli ultimi dieci anni, il picco in America latina. Di recente approvazione è il nostro ddl contro gli «eco-vandali», che prevede l’arresto in direttissima e l’inasprimento delle pene.