Armi all’Ucraina, il caso paradossale di Lucio Malan, capogruppo al Senato di Fratelli d’Italia
La «mimetica» dei putiniani in Parlamento Tra i tanti paradossi che ci è dato vivere, uno in particolare colpisce. Perché chi riflette sull’invio di nuove armi all’Ucraina di fronte allo stallo sanguinoso degli eserciti, uno aggressore […]
La «mimetica» dei putiniani in Parlamento Tra i tanti paradossi che ci è dato vivere, uno in particolare colpisce. Perché chi riflette sull’invio di nuove armi all’Ucraina di fronte allo stallo sanguinoso degli eserciti, uno aggressore […]
Tra i tanti paradossi che ci è dato vivere, uno in particolare colpisce. Perché chi riflette sull’invio di nuove armi all’Ucraina di fronte allo stallo sanguinoso degli eserciti, uno aggressore l’altro che si difende, che pretenderebbe – come suggerisce il capo di stato maggiore Usa Mark Milley – a questo punto non una nuova escalation bellica con armamenti sospesi tra difesa ed offesa, ma una risposta internazionale che assuma con forza i contenuti di un possibile negoziato di pace; chi riflette sulla spirale della guerra che coinvolge noi che abbiamo in Costituzione il ripudio della guerra per la risoluzione delle crisi internazionali; chi vede nella crisi evidenti responsabilità della Nato ma senza per questo giustificare la sanguinosa guerra di Putin contro i civili; chi dice tutto questo, al di là di strumentali speculazioni al limite dell’idiozia, non è né è mai stato putiniano.
Considerando infatti Putin nient’ altro che uno spregiudicato sovranista-nazionalista che pesca nel torbido del passato zarista grande-russo e che, se ha risollevato il suo popolo dall’implosione dell’Urss, ora lo ha cacciato dentro una avventura criminale e suicida. I putiniani veri stanno invece dall’altra parte, nella destra e destra estrema che ormai, purtroppo ci governa. Non parliamo solo del legame «storico», da import-escort, tra Berlusconi e Vladimiro.
Né dei tentativi di Salvini e della Lega di avere un monumento se non sulla Piazza Rossa almeno nell’hotel Metropol di Mosca, o di Giorgia Meloni che si sperticava in complimenti a Putin per la rielezione, la quarta, a presidente come «inequivocabile volontà del popolo russo», né di quella destra fascista che nel 2014 a Roma affisse manifesti di un Putin marinaio-macho che più duro non si può.
Parliamo del senatore Lucio Malan, nientemeno che capogruppo al Senato di Fratelli d’Italia, del quale ieri in Senato abbiamo sentito le «limpide» ragioni dell’invio di nuove armi all’Ucraina. Strane ragioni. Perché il senatore Malan, prima in Crimea nel 2014 e poi nel Donbass nel 2015 ha guidato la delegazione italiana di sedicenti Osservatori internazionali – «invitati dal Donbass» e da Mosca – che hanno suffragato le elezioni che proclamavano le due indipendenze, più «spendibile» la prima, provocatoria la seconda. Perché, dopo gli accordi di Minsk – che prevedevano una autonomia del Donbass all’interno dell’Ucraina – rappresentava una forzatura indipendentista.
Poroshenko a Kiev mise al bando per questo tutti gli «osservatori» che avallarono quel voto. Ora Malan, bandito a Kiev, arrivato a Fratelli d’Italia da Forza Italia- il partito è cambiato, ma la «nazione» e soprattutto l’onorevole è sempre quello – si strappa le vesti per nuove armi all’Ucraina. Qualche domanda è lecita. Delle due l’una: o vale l’osservatore di ieri o l’armaiolo di oggi? Oppure Malan sta semplicemente bombardando se stesso.
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