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Argentina, Fernández vince e sfida la ricetta macrista

Argentina, Fernández vince e sfida la ricetta macristaAlberto Fernández e Cristina Fernández de Kirchner – foto Afp

Presidenziali Il ticket con Cristina al 48% ma il futuro dipenderà dalla composizione del Congresso. Buenos Aires rimane alla destra: Larreta è stato confermato governatore con il 55% dei voti

Pubblicato circa 5 anni faEdizione del 29 ottobre 2019

«Oggi è anche il compleanno del mio amico Lula, un uomo straordinario che è detenuto ingiustamente da un anno e mezzo. Parabéns pra você (tanti auguri a te), caro Lula. Spero di vederti presto», è stata la dedica di Alberto Fernández all’ex presidente brasiliano, la stessa domenica in cui è stato consacrato presidente eletto, con il 48,10% dei voti degli argentini.

Il saluto è significativo per quello che ora è solo un auspicio, ma che può rappresentare una tregua o un’alternanza al modello neoliberalista della regione. Ciò che il saluto non dice è che Alberto e Cristina sapevano già dalle primarie dello scorso agosto che avrebbero assunto il ruolo di presidente e vice-presidente il prossimo 10 dicembre.

 

I segni della tornata elettorale nelle strade di Buenos Aires (foto di Rafael Stedile)

 

NEI FATTI, LA FORMULA Alberto Fernández – Cristina Fernández de Kirchner ha ottenuto il 48,10% dei voti, mentre il binomio Mauricio Macri – Miguel Ángel Pichetto ha raggiunto il 40,37%, con il 97,13% delle urne scrutinate. Il vantaggio di 17 punti delle primarie si è ridotto a 8 questa domenica, a testimonianza di una certa efficacia della campagna denominata da Macri Sí se puede, che gli ha permesso di ottenere 2 milioni di nuovi voti – mentre l’incremento per Fernández è stato solo di 250 mila – i quali tuttavia non sono stati sufficienti ad arrivare a un ballottaggio.

I restanti partiti si sono piazzati lontani: Roberto Lavagna (ex ministro di Nestor Kirchner) ha preso 6,16%; la sinistra trozkista il 2,16%, e l’estrema destra, con nessuno degli altri due candidati, ha raggiunto il 2%. Oltre ai risultati sarà cruciale vedere come trascorreranno i 42 giorni di transizione, fino al 10 dicembre, quando assumerà la carica il nuovo presidente. Saranno giorni in cui si definirà la stabilità economica, gli equilibri interni dei partiti, la composizione del Congresso, e gli accordi con i governatori provinciali. Sui 24 distretti in cui è suddiviso il paese, in 18 si è imposto Alberto Fernández.

L’ARGENTINA HA UN FORTE sistema presidenziale ma sarà fondamentale vedere come si conformerà il Congresso una volta giunti i risultati definitivi.

Alla Camera dei Deputati, Juntos por el Cambio – l’attuale alleanza di governo – a partire da dicembre potrà contare su 119 legislatori su 257.

La domanda chiave è se manterranno intatta l’unità o se inizierà la disputa per la leadership della futura opposizione. Il Frente de Todos, vincitore domenica, metterà insieme kirchneristi e referenti del Partito giustizialista (peronisti di centro-destra), raggiungendo quota 108 deputati, anche se attraverso alleanze potrebbe avvicinarsi a 120. Nel Senato, in cambio, peronisti, kirchneristi e alleati occuperanno 39 seggi, su un totale di 72, il che gli permetterà di contare su un proprio quorum in una camera che, tra l’altro, sarà presieduta da Cristina Kirchner, che in quanto vice-presidente della nazione ricoprirà anche la carica di presidente della camera alta. In Senato, Juntos por el Cambio conformerà un blocco di 28 senatori, quattro in più degli attuali 24.

 

La festa post elettorale nelle strade di Buenos Aires (foto Gianluigi Gurgigno)

 

LA PROVINCIA DI BUENOS AIRES (37% degli aventi diritto al voto) rappresenta un bastione fondamentale per la governabilità di cui ha bisogno Fernández. Axel Kicillof, ex Ministro dell’economia di Cristina, si è imposto come governatore eletto con il 52,30% dei voti (96% scrutinato) sull’attuale governatrice macrista María Eugenia Vidal, che si profila pronta alla disputa interna al partito visti i disaccordi con il circolo intimo del presidente. Macri ya fue, Vidal ya fue, si vos querés Larreta también, con questa canzone, che durante la campagna Fernández – Fernández giocava sul destino già segnato di Macri e Vidal, si invitava anche a mandar via un altro rappresentante del macrismo, Horacio Rodríguez Larreta, ovvero il governatore della Città di Buenos Aires.

Quest’ultimo tuttavia è stato l’unico motivo avuto dalla coalizione Juntos por el Cambio per gridare al gol.

IL CAPO DI GOVERNO di Buenos Aires è stato infatti rieletto con il 55% dei voti, mentre il candidato per il Frente de Todos, Matías Lammens, ha ottenuto un 35% da non disprezzare (nel 2015 il candidato kirchnerista prese il 21%) in un distretto in cui l’anti-peronismo pesa molto.

In chiave regionale, il festoso saluto a Lula e la risposta di quest’ultimo – così come quelle di Evo Morales e Nicolás Maduro – a consacrazione di Fernández come presidente, ha anche un altro significato, visto che il 30 ottobre di un anno fa vinceva le elezioni in Brasile Jair Bolsonaro, in quello che è stato un ulteriore passo nell’ascesa neoliberalista e fascista della regione. Bolsonaro poté – in quel momento – trovare alleati nelle vicinanze. Argentina e Cile coincidevano con le politiche dell’allora fiammante presidente brasiliano.

Ma in questi giorni milioni di cileni si sono mobilitati in tutto il paese – e gli argentini hanno scelto un nuovo presidente. Nonostante gli annunci di un programma progressista bisognerà però attendere per sapere di quanto margine di manovra potrà disporre Alberto Fernández, stretto tra governatori e Congresso, tutti in disputa per un posto nell’agenda presidenziale.

Traduzione di Gianluigi Gurgigno

 

 

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