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Argentina e Uruguay al voto: progressisti favoriti

Argentina e Uruguay al voto: progressisti favoritiElezioni in Argentina – Afp

America Latina Se in entrambi i casi saranno le forze progressiste ad avere la meglio, la transizione verso un modello post-capitalista dovrà comunque attendere ancora molto. Dai Kirchner al Frente Amplio, è stato infatti il modello estrattivista con tutte le sue devastanti conseguenze sugli ecosistemi e sulle comunità locali

Pubblicato circa 5 anni faEdizione del 27 ottobre 2019

Sono tempi cruciali per l’America latina. Mentre una parte del subcontinente è attraversata dalle proteste contro le politiche ultraliberiste tornate ad affamare i popoli, le elezioni che si tengono oggi in Argentina e Uruguay diranno molto sulla possibilità di espellere di nuovo dalla regione quel modello riportato in auge proprio dalla vittoria di Mauricio Macri in Argentina nel 2005.

Era stata proprio quella vittoria, insieme alle successive affermazioni della destra – con mezzi leciti e illeciti – in Brasile, in Paraguay e in Cile, al voltafaccia di Lenin Moreno in Ecuador e all’assedio imposto contro il Venezuela di Maduro, a segnare la fine del quel processo di cambiamento che, innescato nel 1998 dal trionfo di Hugo Chávez, aveva risvegliato tante speranze nel mondo intero (prima di mostrare segnali via via più evidenti di logoramento). Ed è ora la quasi certa sconfitta di Macri a poter segnare una nuova inversione di tendenza. Pochi i punti di contatto tra l’Argentina governata – e devastata – dalla destra, e l’Uruguay amministrato dalla coalizione di centro-sinistra del Frente Amplio.

La prima travolta da una crisi diventata da tempo insostenibile, il secondo rimasto al riparo dalle turbolenze che hanno scosso in profondità i più potenti paesi vicini. Cosicché, mentre Brasile e Argentina affondavano in una crisi politica, economica e sociale sempre più grave, il più piccolo socio del Mercosur assisteva, prima con José Mujica e poi con il moderato Tabaré Vázquez, alla crescita costante del Pil, all’aumento reale dei salari e delle pensioni, alla riduzione del tasso di disoccupazione, alla diminuzione dell’indice di povertà, più una serie di leggi all’avanguardia in materia di diversità sessuale (matrimonio omosessuale), riproduzione (legalizzazione dell’aborto) e droghe (legalizzazione della marijuana).

In entrambi i paesi, i sondaggi indicano una vittoria progressista. Una vittoria ritenuta addirittura scontata in Argentina, dove il candidato peronista Alberto Fernández, affiancato dall’ex presidente Cristina Fernández de Kirchner, è trattato già dai diversi attori sociali come il nuovo presidente. Mentre più incerta, ma probabile, benché bisognerà aspettare il ballottaggio del 24 novembre, quella del candidato del Frente Amplio Daniel Martínez, che dovrà vedersela con l’avversario di destra Lacalle Pou.

Ma se in entrambi i casi saranno le forze progressiste ad avere la meglio, la transizione verso un modello post-capitalista dovrà comunque attendere ancora molto. Dai Kirchner al Frente Amplio, è stato infatti il modello estrattivista con tutte le sue devastanti conseguenze sugli ecosistemi e sulle comunità locali, attraverso in particolare lo sfruttamento minerario e la trasformazione del territorio in una sterminata monocoltura di soia transgenica, a imporsi nei due paesi. E a cambiare la situazione, stando ai programmi e ai discorsi, non saranno di certo né Alberto Fernández né Daniel Martínez.

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