In Argentina «baciarsi non è un delitto»
Argentina 2017: due donne argentine sposate si baciano in una stazione di Buenos Aires. La polizia le arresta per «resistenza a pubblico ufficiale». Ma ora sono state finalmente scagionate
Argentina 2017: due donne argentine sposate si baciano in una stazione di Buenos Aires. La polizia le arresta per «resistenza a pubblico ufficiale». Ma ora sono state finalmente scagionate
Ci sono vite che sembrano scritte per essere battaglie. Ci sono persone che sembrano scelte per essere icone di quelle lotte. E ci sono baci che sono politici. È la storia di Marian Gomez e Roció Girat.
LE DUE GIOVANI DONNE argentine, di 28 e 27 anni, sono sopravvissute ad anni di abuso sessuale in famiglia e hanno trovato la forza di denunciare pubblicamente i loro aggressori. I loro casi hanno avuto una ricaduta mediatica enorme e, un giorno, si sono innamorate e sposate: sono state la terza coppia di donne a convolare a nozze nella città di Olavarría.
Nel 2017 si trovavano alla stazione Constitución di Buenos Aires, stavano fumando e si stavano baciando quando due agenti le hanno interrotte: Marian è stata arrestata e nel 2019 è stata condannata a un anno di prigione. Migliaia di persone sono scese in piazza a protestare all’urlo di: «Baciarsi non è un delitto».
Marian e i suoi legali hanno fatto appello e qualche settimana fa il verdetto è stato ribaltato con una sentenza storica. Marian e Roció ora sono libere e possono raccontare la loro storia e quella del cosiddetto «processo del bacio». Il 2 ottobre del 2017 le due donne si trovavano nella capitale argentina, alla stazione Constitución. Roció era molto nervosa perché a breve avrebbe dovuto affrontare in tribunale suo padre, un sottoufficiale di controspionaggio della Marina argentina, che ha abusato di lei per anni.
PIOVEVA mentre le due ragazze si baciavano. Marian stava fumando quando le si sono avvicinati un impiegato della metro e il poliziotto Jonatan Rojo intimandole di spegnere la sigaretta e rivolgendosi a lei con l’appellativo di «pibe» che significa «ragazzo». Marian ha risposto che non era presente alcun cartello che vietasse di fumare, ma ha spento la sigaretta e si è alzata per andarsene. Il poliziotto l’ha trattenuta dicendole che l’avrebbe arrestata, continuando a rivolgersi a lei con appellativi maschili e annotando fra i suoi dati anagrafici che era nubile.
Quando Roció ha mostrato il certificato di matrimonio che il poliziotto le ha richiesto, non le hanno creduto. Quel giorno a Constitución c’erano molte persone che stavano fumando, ma gli agenti hanno arrestato solo Marian, che dice: «Negli anni sono stata molte volte vittima di discriminazione. Mi hanno cacciata fuori dalle discoteche, mi hanno richiesto il documento di identità per poter entrare nel bagno delle donne. Durante un colloquio mi hanno chiesto se fossi lesbica. Ma mai avrei pensato che mi sarebbe accaduto qualcosa del genere».
MARIAN È STATA ARRESTATA in modo violento e detenuta per 7 ore, durante le quali è stata illegalmente costretta a denudarsi. Oggi le due donne si trovano nella loro casa, è un pomeriggio soleggiato ed è autunno in Argentina. Sono sedute molto vicine, le braccia si sfiorano. Spesso terminano l’una la frase dell’altra e si lanciano occhiate complici mentre rispondono alle domande.
«Il sistema in cui viviamo è molto ambiguo nel riconoscimento dei diritti per le coppie omosessuali. Cinque anni fa ci siamo sposate ed è stato molto semplice. Ma poco tempo dopo ci siamo trovate a Buenos Aires, la città più moderna del Paese, costrette a mostrare il certificato di matrimonio a un poliziotto che non ci riconosceva come coppia», afferma Roció mostrando i limiti di un paradosso diffuso nel continente sudamericano.
Molti Stati latinoamericani presentano leggi all’avanguardia – ad esempio nel punire i crimini d’odio contro le minoranze o la violenza di genere – ma spesso la cultura rispetto a quegli stessi temi è retrograda e il numero di delitti annessi è spaventosamente alto. Roció ha i capelli lunghi e scuri, indossa grandi occhiali da vista e gli occhi le sorridono. Marian ha i capelli chiari intrecciati in lunghi rasta e una bellissima voce roca, quasi strascicata.
Quando parla con quella sua inflessione lenta e ragionata, le parole arrivano potentissime. «Durante le udienze mi hanno chiamato spesso Mariano, non riconoscendomi come donna», spiega. Entrambe hanno tatuaggi sulle braccia, indossano magliette sportive e hanno il piercing al naso. Mentre si raccontano, nonostante le loro vite siano state così difficili, le risate scrosciano e loro appaiono calme e serene. È difficile pensare che solo qualche anno prima queste due giovani donne, così felici e innamorate, abbiano vissuto sofferenze indicibili e abbiano smascherato pubblicamente i loro abusatori.
MARIAN IL 28 GIUGNO del 2019 è stata condannata a un anno di prigione per resistenza all’autorità dalla giudice Marta Yungano. «Lo stesso giorno la giudice Yungano ha assolto un uomo accusato di violentare i propri figli», asserisce Roció. E Marian aggiunge: «Assistiamo continuamene a casi di pedofili rilasciati dopo aver scontato pochi anni di carcere e che tornano a fare lo stesso.
C’è estrema necessità di un cambio di personale nel nostro sistema giudiziario. Da decine di anni moltissimi giudici attuano con totale discriminazione e nessuno di loro subisce ripercussioni per la propria condotta».
DURANTE L’UDIENZA per l’appello presentato dal legale di Marian, che si è svolta il 18 febbraio scorso, ha partecipato anche María Rachid portavoce della Federación Argentina LGBT che ha dichiarato: «Se queste due giovani prima non avevano paura di baciarsi per strada, sicuramente ora ci penseranno due volte».
Due settimane fa, dopo un’attesa durata quattro anni, Marian è stata assolta e i giudici, con voto unanime, hanno dichiarato che è stata vittima di discriminazione da parte dell’agente di polizia che l’ha arrestata nel 2017 senza alcuna ragione legale e che è stata scelta quel giorno, fra molte altre persone che stavano fumando nello stesso spazio, perché lesbica.
«Quando un ordine parte da un atto discriminatorio tutto ciò che ne consegue è illecito. I giudici hanno riconosciuto che era diritto di Marian difendersi da una decisione illegale», sostiene l’avvocato della donna, Lisandro Teszkiewicz. Buenos Aires è il distretto che presenta più denunce per resistenza all’autorità di tutta l’Argentina, la stessa accusa per cui Marian è stata condannata.
«È il delitto più politico del codice penale perché non si è accusati di aver lesionato qualcuno ma di essere un disobbediente – spiega Teszkiewicz – La polizia di Buenos Aires, che è stata creata dall’ex presidente Mauricio Macri quando era governatore della città, agisce in maniera profondamente repressiva, soprattutto con le minoranze e con le persone più povere. È fondamentale che si riconosca che la polizia non può perseguire le persone per chi sono e che, se accade, i cittadini hanno il diritto di difendersi».
«È STATA DURA PASSARE da vittime a imputate – afferma Roció – È stato incredibile vedere come questa causa si è svolta rapidamente. Quando noi eravamo le vittime e gli imputati erano persone che avevano abusato di noi da minorenni la giustizia è stata lentissima, in questo caso invece, in cui le accuse erano molto meno gravi, tutto è stato estremamente veloce ed efficiente».
Roció sta fumando una sigaretta e si gira verso Marian mentre racconta: «Abbiamo ricevuto molto sostegno durante il processo, ma anche tantissimo odio. È stata doppiamente dura vivere questa situazione in cui ci siamo dovute esporre moltissimo perché come vittime di abusi ci stiamo lentamente riappropriando dei nostri corpi e di una parte di noi stesse che per molto tempo ci è stata rubata».
LE DUE DONNE sono state entrambe vittime da minorenni di abuso sessuale in famiglia. Marian, insieme alle due sorelle, è stata vittima per oltre 10 anni di violenza sessuale e fisica da parte del patrigno e del padre dell’uomo. Roció è stata abusata dai 13 ai 17 anni dal padre, sottoufficiale della Marina argentina. Le due giovani, quando il tribunale invece che proteggerle ha deciso di condannare i loro abusatori all’arresto domiciliare ponendole in grave pericolo, hanno deciso di denunciare pubblicamente i loro aggressori.
Le loro testimonianze hanno avuto un’eco mediatica enorme. Le due ragazze allora non si conoscevano, ma le loro storie avevano molti punti in comune. Nel 2014 si sono incontrate per la prima volta durante un’intervista televisiva e si sono viste riflesse l’una nell’altra. Roció e Marian che si sono trasformate da vittime a combattenti e hanno, con il loro coraggio, scosso l’Argentina intera si sono innamorate e sposate. Oggi, nella casa dove vivono insieme, si guardano e si avvicinano l’una all’altra mentre dicono: «Il lato buono per noi è che quest’ultima battaglia l’abbiamo potuta combattere insieme».
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