Arevalo c’è, ma il suo governo giura solo all’alba
Guatemala Insediamento del neo-presidente ostacolato fino all'ultimo. Destra scatenata al Congresso, i capi di stato invitati costretti a una lunga anticamera
Guatemala Insediamento del neo-presidente ostacolato fino all'ultimo. Destra scatenata al Congresso, i capi di stato invitati costretti a una lunga anticamera
È successo di tutto domenica in Guatemala per l’assunzione a capo di stato di Bernardo Arevalo. Il suo predecessore Alejandro Giammattei, alla testa del cosiddetto pacto de los corruptos, avrebbe dovuto trasmettergli la fascia presidenziale, ma neppure si è palesato. Mentre a sovraintendere all’investitura doveva essere da protocollo il presidente del nuovo parlamento; a sua volta da nominare la mattina stessa.
Nella prima sessione della nuova assemblea legislativa è invece scoppiato il putiferio. La destra ha tentato di nominare un direttivo a propria immagine, con l’argomento che la legalità del Movimiento Semilla di Arevalo era stata sospesa un paio di mesi prima dall’autorità giudiziaria. I suoi 23 eletti avrebbero quindi potuto insediarsi solo come «indipendenti», senza assurgere alla guida dell’organismo.
LA DIATRIBA SI È PROLUNGATA per otto ore. Con i presidenti di Costarica, Honduras, Panama, Colombia, Cile, Paraguay, Belize e il re di Spagna a fare impazientemente anticamera. E incaricando però i loro ministri degli Esteri, con l’aggiunta di Josep Borrel per l’Unione europea e di Luis Almagro dell’Organizzazione degli Stati americani, di sollecitare il regolare proseguo della funzione. Pare persino che la delegazione giunta dagli Stati Uniti abbia indotto i deputati della destra a porre fine a quel boicottaggio.
Intanto cresceva la tensione per le vie della capitale fra i sostenitori di Arevalo che intendevano festeggiare il passaggio di consegne; con alcuni gruppi che tentavano di forzare il cordone della polizia intorno al congresso. A questo punto è giunta la votazione decisiva per la quale 92 deputati sui 160 totali hanno “riabilitato” la legittimità del partito Semilla arrivando ad eleggerne persino il 31enne Samuel Pérez al vertice dell’assise. Un’incipiente alleanza dove il partito di Arevalo seguiterà ad essere minoranza ma che ha impresso una svolta rispetto al golpe strisciante tentato in questi sei mesi di transizione, dove l’oligarchia guatemalteca e il suo braccio giudiziario hanno fatto di tutto per impedire che assumesse i poteri. E che fa sperare in bene per l’avvio della lotta alla corruzione e per un ristabilimento del pur fragile sistema democratico di questo paese, alla testa dei propositi del neopresidente.
STA DI FATTO che il martoriato Bernardo è riuscito a pronunciare il giuramento solo dopo la mezzanotte al Teatro Nazionale. Quando ormai re Felipe VI e il cileno Gabriel Boric se ne erano andati (pur essendosi con lui incontrati qualche ora prima). Con al contrario il colombiano Gustavo Petro a dichiarare «non me ne vado fino a che Arevalo non sia diventato presidente».
SOLO ALLE TRE DI NOTTE Arevalo e la sua vice Karin Herrera hanno potuto affacciarsi dal balcone del Palacio Nacional che dà sulla piazza della Costituzione per rivolgere il loro primo saluto alla nazione; esordendo con un sospirato «ce l’abbiamo fatta». Per poi recarsi all’esterno della sede della Procura Generale della Repubblica presidiata da ben 107 giorni dalle organizzazioni indigene che chiedevano le dimissioni della magistrata Consuelo Porras, inquisitrice di Semilla e del suo massimo leader. Invitandole a ritirarsi.
Il turno del giuramento dei ministri del nuovo governo è arrivato quando era ormai l’alba. Sette uomini e sette donne. Una sola indigena: Catarina Roquel Chávez al dicastero del Lavoro. Oltre alla correlazione di forze con l’oligarchia bianca, è proprio il rapporto con le popolazioni indigene che si gioca la presidenza di Arevalo. Etnie che non lo avevano esplicitamente sostenuto alle urne, ma la cui mobilitazione è stata decisiva per arrivare a questo 14 gennaio. La sua vice Herrera aveva portato il proprio sostegno il mese scorso all’insediamento delle nuove autorità originarie dei 48 cantoni di Totonicapán. Che Arevalo ha ringraziato collocando al centro del suo programma «non più razzismi, né discriminazioni», oltre che «rispetto dei diritti umani» e l’auspicio di «unità e dialogo».
«NON C`È DEMOCRAZIA senza giustizia sociale», ha concluso. Passando poi a riconoscere l’appoggio avuto dalla comunità internazionale, allertando sul «crescere degli autoritarismi nel mondo e in Centroamerica», con riferimento ai vicini El Salvador e Nicaragua che hanno inviato delegati minori. Assente il Messico, forse infastidito dal cenno di Arevalo alla «repressione» del transito dei migranti.
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