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Applausi e completi gialloblu. Ma la via militare è esclusa

Applausi e completi gialloblu. Ma la via militare è esclusaIl presidente ucraino Zelensky in collegamento con il Bundestag – Ap

Crisi ucraina Zelensky «incontra» il Bundestag. Dietro la facciata il clima è teso fra parlamento tedesco e il presidente, che evoca il muro di Berlino. E ieri è scoppiato lo scandalo della fornitura di armi a Putin anche dopo l’embargo

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 18 marzo 2022

Tutti in piedi ad applaudire Volodimyr Zelensky video-collegato con il Bundestag, a cominciare dalla decina di deputati vestiti con il completo gialloblu. Ma l’accorato appello del premier ucraino non raccoglie il risultato immaginato a Kiev, anzi.

Se da un lato il cancelliere Olaf Scholz lo ringrazia ufficialmente «per le sue parole dirompenti» condannando senza se e ma «la Russia che continua la sua guerra crudele», dall’altro ribadisce i due concetti più indigesti al governo ucraino. «Faremo di tutto affinché la diplomazia abbia possibilità di successo» e «non ci sarà alcun intervento militare della Nato in Ucraina»; con l’ultima precisazione, a scanso di equivoci politici, scandita a due voci con il segretario generale dell’Alleanza atlantica, Jens Stoltenberg.

DEL RESTO, che non tirasse la migliore delle arie fra Berlino e Kiev si era intuito fin dalle prime battute di Zelensky, prologo del durissimo atto di accusa contro la Germania rea di aver compreso fuori tempo massimo la portata delle minacce di Vladimir Putin. «Caro popolo tedesco, com’è possibile che quando ti abbiamo spiegato che il Nordstream-2 era la preparazione alla guerra ci hai risposto che era solo un progetto commerciale mentre è uno dei mattoni del nuovo muro? La verità è che hai pensato solo all’economia» ripete tre volte Zelensky con l’indice puntato ben oltre il Parlamento.
Strigliata cucita su misura, come d’abitudine del premier ucraino pronto a citare Churchill agli inglesi come a evocare Pearl Harbor e l’11 settembre agli americani. «Caro cancelliere Scholz, distrugga questo muro e dia alla Germania il ruolo di leader che merita» sottolinea Zelensky facendo il verso alla storica richiesta di Ronald Reagan nel 1987 («Mr Gorbaciov, tear down this wall»), prima di specificare che «non si tratta più di Berlino ma del muro nell’Europa centrale fra libertà e schiavitù che cresce a ogni bomba».

È LA CARTA dello scontro fra civiltà incompatibili, diametralmente opposte, perfetta per convincere Washington o Londra ma insufficiente per schiodare Berlino dalla Realpolitik di Scholz.
Di sicuro, ieri non è valsa ad aprire il dibattito al Bundestag: già prima del collegamento con Zelensky la ministra degli Esteri, Annalena Baerbock, aveva avvertito che non vi sarebbe stata alcuna discussione sui temi sollevati dal premier ucraino. Infatti la seduta parlamentare è proseguita rispettando rigorosamente l’ordine del giorno incardinato sulla proposta di legge sull’obbligo vaccinale, priorità delle priorità, dopo che ieri la Germania ha registrato 300 mila nuove infezioni di Covid, il record da inizio della pandemia.

SOLO UNA QUESTIONE procedurale, dunque? Mica tanto, almeno a registrare la sintomatica reazione a caldo di Norbert Röttgen, ex ministro del governo Merkel, attuale numero due della Cdu: «È stato il momento più indecoroso che abbia mai vissuto al Bundestag» fa sapere il vice presidente del maggiore partito di opposizione, dal 24 febbraio impegnato a scollare la Germania dalla neutralità incistata fin nella Costituzione. Con richieste inimmaginabili durante l’era Merkel, come l’appello della Cdu a Israele affinché fornisca alla Germania il suo ombrello antimissile “Iron Dome”.
Mentre la video-call di Zelensky non esaurisce la domanda più ricorrente sulla stampa nazionale, a cui nessuno finora ha saputo dare risposta: cosa vuole veramente Zelensky? Finora ha ottenuto la fine dell’equidistanza tedesca, la morte del gasdotto di Gazprom e i lanciarazzi dell’ex arsenale della Ddr, oltre ai prestiti Ue per un terzo garantiti dalla Germania. Senza contare lo “scalpo” di Angela Merkel, leader della politica di appeasement con la Russia portata avanti – si scopre oggi – anche fuori dalla legge.

PROPRIO IERI a Berlino è scoppiato lo scandalo della fornitura di armi a Putin anche dopo l’embargo da parte della Grande coalizione: un business del valore di 121,8 milioni di euro (35% del totale dell’export bellico) spaziato dai rompighiaccio artici fino alla vendita di fucili d’assalto, condotto sottobanco tra il 2015 e il 2020 esattamente dagli stessi politici di Spd e Cdu che ora condannano l’invasione dell’Ucraina scaricando ogni colpa su Mutti.

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