Sembrava difficile poter schivare fino in fondo il doppio ostacolo rappresentato dal rischio dell’indulgere nella retorica come nella riduzione del passato al presente, analizzando una figura oltremodo «scomoda» come quella di Benito Mussolini.

Scomoda perché fin troppo intrecciata all’attualità della politica nazionale e alla rimozione delle responsabilità degli italiani nell’ascesa del fascismo prima e quindi delle colpe di cui si è macchiato in guerra, nella stagione coloniale, nella Shoah.

Eppure, il progetto di M, tre romanzi di non fiction che raccontano l’intera stagione mussoliniana, e con essa una pagina centrale delle vicende del Paese – Il figlio del secolo (2018), L’uomo della provvidenza (2020), Gli ultimi giorni dell’Europa (2022), per Bompiani – è risultato non solo credibile, ma ha consegnato ai lettori, attraverso un costante lavoro di sintesi tra la ricerca storica e la tessitura narrativa, una chiave inedita per interrogarsi in prima persona su una memoria imprescindibile per costruire una coscienza civile degna di questo nome.

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PER OLTRE CINQUE ANNI, e ancor più in là nel tempo se si considera anche la preparazione iniziale prima di passare alla fase della scrittura, Antonio Scurati si è letteralmente immerso nel mondo delle proprie ricerche, nei discorsi e nella vita privata di Benito Mussolini, nei capitoli progressivi della storia del Regime, dalla Marcia su Roma al 25 Luglio 1943, fino al tragico epilogo di Salò. Nel frattempo, come talvolta accade a quanti si misurano con la materia incandescente della Storia, ma anche con la sua sinistra riproposizione in forma di farsa, la realtà si stava per certi versi incaricando di bussare alla porta dello scrittore. E non solo alla sua.

Il terzo capitolo di M è uscito infatti a poche settimane dalle elezioni politiche del 25 settembre dello scorso anno, che hanno condotto alla formazione di un governo guidato, per la prima volta nella storia repubblicana, da un partito che, pur attraverso un percorso organizzativo non lineare, si iscrive in una tradizione di continuità se non con il fascismo storico, perlomeno con la sua diretta appendice neofascista.

Per Scurati che aveva sempre replicato alle domande sul presente spiegando che l’attualità del «caso Mussolini» riguardava più «il risentimento oscuro delle masse» che ne avevano decretato l’affermazione, e che perciò c’era più da «guardare nel fondo dell’abisso che non sulla superficie della gestualità politica» – come spiegato in un’ampia intervista su queste pagine nell’Aprile del 2019 -, la sfida questa volta arrivava dal presente.

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NASCE IN QUESTO CONTESTO, con questo spirito, e all’ombra di un’inedita urgenza, il testo che Scurati ha ora raccolto in Fascismo e populismo (Bompiani, pp. 94, euro 12). Con il sottotitolo di «Mussolini oggi», l’autore ha rielaborato nell’agile volume la relazione svolta ai Rencontres internationales de Genève lo scorso anno, proprio all’indomani della vittoria elettorale di Fratelli d’Italia.

La forma è quella di «un’orazione civile», ma i contenuti chiamano in causa in modo dettagliato il lavoro intorno alla crisi della democrazia già svolto da Scurati.

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Netto il punto d’avvio: «Chi giunga a governare un Paese da un passato di militanza politica neofascista ha davanti a sé un bivio. O scioglie definitivamente – attraverso un discorso pubblico, trasparente, dirimente – i nodi che lo avvincono a quel passato oscuro, oppure si prepara a revisionare l’intera storia d’Italia tentando di cambiare di segno a quel passato, per gettare su di esso una sedicente nuova luce che ne neghi e disconosca l’oscurità». Evidente come sia la seconda strada che si è scelto di imboccare in Italia.

La riflessione proposta muove quindi da due piani, tra loro paralleli ma anche intrecciati in più punti.

Da un lato c’è la constatazione che il Paese non abbia mai fatto fino in fondo i conti con il fascismo.

Dall’altra, l’analisi di come proprio l’eredità mussoliniana si possa leggere lungo due traiettorie: quella totalitaria e violenta, passata per la guerra e lo sterminio, di cui nessuno – proporzionalmente rilevante – osa più intestarsi l’eredità, e l’altra che Scurati denomina «populista» che sembra invece informare di sé parte rilevante della politica nazionale. E non solo.

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ELEMENTI COSTITUTIVI, ieri come oggi suggerisce lo scrittore, ne sono l’autodefinirsi dei leader come «voce del popolo», una comunicazione basata su frasi brevi e una rappresentazione binaria della realtà, l’alimentare un sentimento diffuso di paura e la creazione di capri espiatori su cui scaricare ogni sorta di malessere sociale.

Di tale tendenza, il Mussolini «populista» fu una delle prime e più credibili incarnazioni: non solo l’inventore del fascismo, ma «l’ideatore di quella prassi, comunicazione e leadership politica che noi oggi chiamiamo populismo sovranista».

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Inutile dire che a questa sorta di doppia sfida, che riguarda a un tempo la memoria e il presente, secondo Antonio Scurati si deve rispondere rinnovando profondamente l’antifascismo, riappropriandoci «della storia della democrazia, tornare a essere parte attiva di quella storia che coincide lungo il suo intero corso con la lotta per essa. Lotta quotidiana, interminabile, inesausta».