Dato che la sanità pesa per oltre i due terzi del bilancio delle regioni, ci si poteva aspettare che proprio sulla salute si giocassero i destini dei candidati alla rielezione in Lombardia e nel Lazio. Sia il presidente Attilio Fontana che l’assessore alla salute Alessio D’Amato devono gran parte della loro notorietà alla sovraesposizione ricevuta durante la pandemia, che per motivi opposti li ha visti spesso sotto la luce dei media.

Di quella luce Fontana avrebbe fatto volentieri a meno. Con l’Italia in lockdown e le bare in coda sui blindati militari, a marzo 2020 nessuno avrebbe scommesso sulla sua rielezione. Invece, lo scrutinio rivela che il Covid-19 non ha influenzato le scelte degli sparuti elettori. Il dato più sorprendente è quello delle percentuali conquistate dalla giunta di centrodestra in Valseriana e nel lodigiano: nei paesi falcidiati dal virus, il consenso della giunta uscente è persino aumentato rispetto a cinque anni fa: del 2% a Alzano, del 4 a Nembro e a Codogno. A Castiglione d’Adda il confronto tra il 2018 e il 2023 fa segnare un impressionante +9%.

Anche nel Lazio era atteso un effetto Covid-19, ma di segno opposto. I tre anni di pandemia hanno giovato all’immagine dell’assessore Alessio D’Amato, fin lì occupato a chiudere ospedali e tagliare servizi per risanare il bilancio della regione. Dodicimila vittime contro le quarantacinquemila della Lombardia, che ha una popolazione doppia rispetto al Lazio, raccontano di un impatto meno tragico della pandemia. La campagna vaccinale nel Lazio ha rivelato una capacità organizzativa inaspettata, decisamente superiore a quella lombarda. È nei tendoni con le primule, dove spesso lavoravano gli uomini della Croce Rossa guidati dal suo avversario Francesco Rocca, che D’Amato ha deciso di candidarsi alle regionali.

I sondaggi pubblicati da YouTrend confermano questa percezione. Per il 21% dei cittadini lombardi la lotta alla pandemia è stato il peggior fallimento della propria giunta, e questa percentuale scende al 13% nel Lazio. Solo il 18% dei lombardi ritiene che la propria regione abbia gestito bene la pandemia, contro il 33% dei laziali. Eppure, l’effetto-volano su cui puntava D’Amato nell’urna non si è visto.

Evidentemente nessuno misura più l’efficienza della sanità sulla lotta alla pandemia. La priorità è tornata alle liste d’attesa, all’accesso alle cure, ai costi privati imposti da un servizio sanitario nazionale non più uguale per tutti. Su questo il giudizio di lombardi e laziali non è cambiato radicalmente in questi anni. È vero che per i lombardi la sanità è il peggior fallimento della giunta, pur escludendo la vicenda Covid: secondo YouTrend, la pensa così il 47% di loro. Ma anche nel Lazio la sanità è il punto debole della giunta uscente per il 34% dei cittadini.

Come suggeriscono molte analisi di questi giorni, i cittadini potrebbero aver ritenuto che il voto non sia uno strumento adatto a trasformare la società. Se si guarda ai fondamentali, la sanità lombarda e quella laziale hanno più punti in comune che differenze, a dispetto della narrazione mediatica e nonostante le rispettive giunte abbiano avuto il tempo per affermare una propria visione. Nel periodico monitoraggio dei «Livelli essenziali di assistenza» le due regioni ottengono valutazioni simili: un po’ meglio la Lombardia sugli ospedali, un po’ peggio nella prevenzione.

In entrambe l’offerta ospedaliera è sbilanciata a favore della sanità convenzionata: Lazio e Lombardia destinano ai privati un quarto della spesa sanitaria pubblica, più di tutte le altre regioni. Il Lazio è la prima regione per numero di posti letto in strutture private convenzionate (il 50% circa) ma la Lombardia con il 38% è terza in classifica secondo l’ultimo rapporto Oasi dell’università Bocconi. Nella spesa sanitaria privata (medicine, visite specialistiche e assistenza non rimborsate dal Ssn), i lombardi spendono più dei laziali. Ma tra il 2016 e il 2021 il divario è diminuito.

Gli investimenti in sanità programmati dal governo Meloni non suggeriscono ampi margini di manovra per il futuro. A queste tendenze di fondo si aggiunge poi un dato psicologico: dopo tre anni così faticosi il desiderio di mettersi alle spalle la pandemia è grande, e sfocia persino nella rimozione. Anche se gli esperti avvertono sul pericolo di nuove pandemie, pochi hanno voglia di tornare col pensiero a quei terribili giorni, nemmeno per il tempo di una croce sulla scheda. Non c’è da stupirsi se gli elettori abbiano guardato altrove per scegliere il candidato.