Ieri si tornava alle urne per le elezioni amministrative in Inghilterra. Sono più di 8mila i seggi in palio in 230 autorità locali, in un territorio che va dalle piccole aree rurali ad alcune delle maggiori città e in cui gli aventi diritto di voto sono 27.6 milioni. È l’ultimo appuntamento elettorale prima delle elezioni politiche, che dovrebbero tenersi nell’autunno del 2024, il primo della storia in cui bisogna portare all’urna un documento di riconoscimento – cosa che nel paese culla della libertà ha provocato non pochi timori e tremori.

Le precedenti “comunali” si erano svolte nel 2019, quando leader dei due maggiori partiti erano rispettivamente Theresa May per il partito conservatore e Jeremy Corbyn per il Labour. Allora i Tory avevano perso oltre mille seggi e il controllo di diversi council, il tutto a vantaggio dei liberaldemocratici. Anche i laburisti soffrirono perdite, anche se minori. Oggi May e Corbyn sono due figure cancellate: dimenticata lei, sottoposto a una petulante damnatio memoriae lui. Con lo spoglio della scorsa notte, i rispettivi successori, Rishi Sunak e Keir Starmer, affrontano le urne per la prima volta da quando hanno assunto i relativi incarichi.

Al potere da appena sei mesi, e subentrato a Liz Truss dopo la sua catastrofica quanto effimera leadership – a sua volta subentrata a quella, impasticciata assai, di Boris Johnson – per Sunak si tratta di un test molto serio, tanto che già ieri metteva le mani avanti dicendo che bisognava prepararsi a una «notte difficile».

La sua gestione, improntata al “buon senso” rispetto al bailamme dei predecessori dovrebbe attenuare quella che da più parti è vista come una disfatta incombente. Lo stato dell’economia, l’inflazione a passo di carica e le ondate di scioperi più lunghe di sempre puntano tutte verso un cambio di passo politico, di cui le amministrative sono di solito sentore. Se perdessero meno di cinquecento seggi sarebbe andata quasi bene; perderne mille o duemila quasi sicuramente sarebbe il preludio di un premierato Starmer.

Certo, non è detto che alla maggioranza Tory non giunga in soccorso la deplorevole quanto mediocre campagna finora condotta da Starmer medesimo – un altro al primo test del Labour post-Corbyn – che ha visto l’assottigliarsi dell’enorme vantaggio che i sondaggi davano al Labour, attualmente al 44%, 12 punti in più di quattro anni fa. Per i laburisti, una conquista scialba sotto i cinquecento seggi significherebbe che la virata a destra non basta a riconquistare il red wall inglese (per tacere della Scozia). E che copiare gli slogan e gli attacchi personali dell’avversario nei contraddittori non basta a riconquistare l’elettorato.

Entrambi i partiti potrebbero poi cedere spazio e peso ai liberaldemocratici in ascesa – che già nel 2019 erano avanzati decisamente – e ai verdi, che da qualche anno a questa parte hanno cessato di essere poco più di un ectoplasma. Lo spoglio, cominciato all’alba di stamane, sconfinerà nel weekend dell’incoronazione di un leader non eletto.