La credibilità della prossima Conferenza delle parti della Nazioni Unite sul clima, la Cop28 in programma a fine novembre 2023 è minata: il sultano Ahmed Al-Jaber, amministratore delegato della compagnia petrolifera nazionale degli Emirati Arabi Uniti, è stato nominato infatti presidente della Cop28, che si terrà nel ricco Paese del Golfo, a Dubai. Al-Jaber, oltre a guidare l’Abu Dhabi National Oil Company, è anche ministro dell’Industria degli Emirati Arabi Uniti e inviato speciale per il cambiamento climatico. Sarà il primo amministratore delegato a presiedere una Cop. «Porteremo un approccio pragmatico, realistico e orientato alla soluzione» ha dichiarato.

IL SUO PAESE è il quarto al mondo per emissioni pro-capite (dopo Qatar, Bahrein e Kuwait) e secondo l’Energy Information Administration (EIA) degli Stati Uniti è il settimo produttore di petrolio e altri liquidi al mondo, con un fatturato di 70 miliardi di dollari. Le riserve accertate sono pari a 98 miliardi di barili di petrolio e 215 trilioni di piedi cubi di gas. Per questo, un’ambientalista come Tracy Carty di Greenpeace International ha fatto sapere di essere «profondamente allarmata» per una nomina che «crea un pericoloso precedente, mettendo a rischio la credibilità degli Emirati Arabi Uniti e la fiducia che è stata riposta in loro dalle Nazioni Unite e dalle generazioni attuali e future». La questione è legata a interessi economici non celabili: «Non c’è posto per l’industria fossile nei negoziati globali sul clima» ha spiegato l’ambientalista. Ma forse sarebbe meglio dire, non dovrebbe esserci posto, specie se il risultato atteso – come spiega Carty – è «un impegno senza compromessi per una giusta eliminazione di tutti i combustibili fossili: carbone, petrolio e gas».

SULLA STESSA LINEA Harjeet Singh, dell’organizzazione Climate Action Network International, che ha denunciato l’influenza delle lobby dei combustibili fossili: «La nomina è uno scandaloso conflitto di interessi». Anche la giovane Vanessa Nakate, attivista ugandese per la giustizia climatica, è critica: «Non possiamo avere un’altra Cop in cui gli interessi dei combustibili fossili possano sacrificare il nostro futuro per ottenere qualche altro anno di profitto» ha detto.
Gli Emirati Arabi Uniti hanno inviato il più grande contingente di lobbisti del settore alla Cop27, tenutasi a novembre in Egitto, durante la quale è stata adottata una risoluzione sulla compensazione dei danni causati dal cambiamento climatico ai Paesi più poveri. Ma non è stato possibile fare progressi nella riduzione delle emissioni di gas serra per mantenere l’obiettivo di limitare il riscaldamento globale. E la questione della riduzione dell’uso dei combustibili fossili è stata appena accennata nei testi finali. Gli Emirati hanno avuto una crescita vertiginosa a partire dagli anni Settanta, ovviamente grazie al petrolio, anche se starebbero cercando di diversificare la loro economia. Il Paese si è impegnato a raggiungere la neutralità delle emissioni di carbonio entro il 2050, puntando su energie rinnovabili e su una tecnologie di dubbia efficacia, la cattura del carbonio.

L’ALLARME degli ambientalisti non è condiviso dalla Commissione europea. Il vicepresidente Frans Timmermans, che ha la delega per il Green Deal, ha twittato un saluto: «non vedo l’ora di incontrare di nuovo Sultan Al Jaber questo fine settimana e iniziare il nostro lavoro sulla Cop28». Timmermans ha anche sottolineato che in qualità di presidenza entrante della Cop28, «gli Emirati Arabi Uniti hanno un ruolo cruciale nel plasmare la risposta globale alla crisi climatica. Dobbiamo prendere velocità e tornare in carreggiata verso 1,5 gradi». Difficile riuscire a farlo pensando ancora di estrarre ed esportare petrolio: Christiana Figueres, che stata Segretario esecutivo della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici tra il 2010 e il 2016, ha ricordato «che l’Agenzia Internazionale per l’Energia (AIE) è stata molto chiara sul fatto che non c’è più spazio atmosferico per il petrolio, il gas o il carbone. Questa chiarezza politica fa eco alle scoperte della scienza e alle crescenti richieste dell’opinione pubblica. La COP28 deve non solo allinearsi a questa realtà, ma di fatto accelerare la decarbonizzazione globale. Non c’è altra strada da percorrere». Al Jaber condividerà la sua posizione? Dovrebbe essere interessato, dato che – come spiega l’ultimo rapporto di Human Rights Watch – «gli Emirati Arabi Uniti sono particolarmente vulnerabili agli impatti dei cambiamenti climatici, tra cui il caldo estremo, l’aumento della siccità e l’innalzamento del livello del mare. L’85% della popolazione vive lungo le coste, che si trovano pochi metri sopra il livello del mare».