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Amazzonia, ritrovati gli effetti personali di Phillips e Pereira

Amazzonia, ritrovati gli effetti  personali di Phillips e PereiraAtalaia do Norte, la polizia federale sul luogo del ritrovamento degli effetti personali di Bruno Pereira e Dom Phillips – Ap/Edmar Barros

Brasile Al minimo le speranze di ritrovarli vivi. Manifestazioni per loro ad Atalaia do Norte

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 14 giugno 2022

Le speranze di ritrovare vivi il giornalista inglese Dom Phillips e l’indigenista brasiliano Bruno Pereira sembrano cadute dopo il ritrovamento di documenti e oggetti personali dei due uomini. La Polizia federale ha fatto l’elenco del materiale ritrovato nella serata di domenica da un gruppo di ricerca formato da vigili del fuoco e indigeni: gli stivali, uno zaino con dentro il computer e libri appartenenti a Phillips; la tessera sanitaria, le scarpe e un indumento appartenenti a Pereira. Non sono cose di cui ci si libera volontariamente.

LA NOTIZIA circolata sul ritrovamento dei corpi è stata smentita. Le ricerche sono ora concentrate in un’area abbastanza ristretta nelle vicinanze della “Comunità Cachoeira”. La domenica era trascorsa in un clima di crescente apprensione, con iniziative nelle principali città del Brasile per sollecitare il governo a moltiplicare gli sforzi. La più significativa è stata quella che si è svolta a Rio sul lungomare di Copacabana e ha visto la partecipazione di attivisti, familiari e amici di Phillips. Col passare dei giorni la domanda «Dove sono?» risuona sempre più alta e coinvolge un numero crescente di persone che prendono coscienza del livello di violenza, impunità e attività predatorie che si registrano nei territori amazzonici. L’Alta Commissaria dei diritti umani dell’Onu, Michelle Bachelet, nel corso del Consiglio tenutosi lunedì a Ginevra, ha espresso la grave preoccupazione per le minacce crescenti ad ambientalisti e indigeni in Brasile. La settimana scorsa aveva già criticato le autorità governative per le attività di ricerca «estremamente lente».

LE RICERCHE e le indagini hanno subito una accelerazione negli ultimi giorni, dopo che la scomparsa ha assunto una risonanza internazionale e sotto la pressione esercitata dal Supremo Tribunale Federale (Stf) e dal Difensore Pubblico dell’Unione (Dpu). Il Stf, attraverso il ministro Barroso, ha intimato al governo di «adottare tutte le misure necessarie a localizzare gli scomparsi» e imposto al Ministero della giustizia, alla Polizia federale e alla Funai (Fondazione per l’indio) l’obbligo di presentare entro il 15 giugno una relazione sulle iniziative intraprese e i risultati ottenuti. Ancora più significativa e stata la richiesta del Dpu alla Polizia federale: la creazione di una «unità di crisi» nel municipio di Atalaia do Norte che comprenda, oltre a esercito, marina, polizia, vigili del fuoco, Funai, anche l’Unione dei popoli indigeni della Vale do Javari. Inoltre, si chiede la presenza di almeno un indigeno appartenente al gruppo di vigilanza dell’Univaja su ogni imbarcazione ufficiale che partecipa alle ricerche, perché «sono loro che conoscono la regione in quanto ci vivono da millenni». Che quella di Pereira e Phillips non fosse una «avventura», come ha sostenuto Bolsonaro, lo hanno ribadito nel corso di una riunione i rappresentanti di 5 etnie della Vale do Javari e durante la manifestazione che gli indigeni hanno tenuto lunedì per le strade di Atalaia do Norte. Si riconosce a Phillips l’impegno nel portare a conoscenza la loro condizione e a Pereira il ruolo fondamentale svolto in questi anni, i suoi insegnamenti nell’attività di monitoraggio del territorio, vigilanza e attuazione di misure di protezione delle popolazioni. «Bruno per noi è un fratello» hanno ripetuto più volte. Ed è per questo, come risulta dalle testimonianze, che alcuni degli indagati avevano pubblicamente affermato che dovevano «regolare i conti con Bruno».

RIMANE fortemente indiziato e in stato di arresto il pescatore Amarildo da Costa de Oliveira, per i suoi rapporti con ambienti legati al traffico di droga, per le minacce formulate nei giorni precedenti nei confronti di un gruppo di indigeni e per il comportamento tenuto prima e dopo la scomparsa dei due uomini. Quello che sta emergendo dalle indaginI è l’intreccio di interessi che si è sviluppato in questi territori: caccia e pesca illegali, deforestazione, esplorazione mineraria, traffico di droga. Una attività predatoria delle risorse naturali, con le comunità indigene abbandonate a sé stesse. In particolare i pescatori illegali non hanno mai accettato la demarcazione del territorio indigeno avvenuto nel 2001, perché nelle acque dei fiumi che lo attraversano si trovano il pirarucu (arapaima gigante), un pesce di grandi dimensioni, e il tracajà, la tartaruga amazzonica. Si tratta di specie molto ricercate in Brasile, ma anche in Perù e Bolivia, paesi confinanti, e il municipio di Atalaia do Norte è diventato il più fiorente mercato illegale del pescato proveniente dalla Vale do Javari. Pereira aveva più volte affermato che la situazione nella regione era precipitata al livello precedente alla demarcazione dopo la chiusura del presidio della Funai. Ora il suo presidente, Marcelo Xavier, gradito alla “bancada ruralista”, non trova di meglio che mettere in stato di accusa Pereira perché non avrebbe avuto alcuna autorizzazione per stare con gli indigeni. L’Osservatorio dei popoli isolati (Opi) ribatte che si tratta di un “tentativo vigliacco di diffamazione” nei confronti di una persona che ha svolto un ruolo fondamentale nella difesa dei territori e delle comunità, mentre la Fondazione è venuta meno ai suoi compiti istituzionali.

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