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Amazzonia, no indio al petrolio

Amazzonia, no indio al petrolioProtesta degli indigeni peruviani contro il petrolio – Arthur Wyns

Movimenti Quarantatrè giorni di proteste indigene al confine tra Perù ed Ecuador. Troppi incidenti e contaminazioni. Nel mirino la statale Petroperu

Pubblicato quasi 7 anni faEdizione del 23 novembre 2017

Quarantatrè giorni di protesta, di blocco totale delle estrazioni di greggio dal Lotto 192 nell’amazzonia peruviana, al confine con l’Ecuador. Così le comunità indigene Kichwa, Quechua, Achuar e Urania, che abitano la regione di Loreto, sono riuscite ad ottenere un accordo con il governo sulla concessione petrolifera più grande del paese.

Il 31 ottobre scorso i membri di 16 comunità indigene hanno raggiunto l’obiettivo di essere inclusi nelle future consultazioni per l’assegnazione di una nuova concessione. L’accordo, promette l’esecutivo, dovrà tenere conto delle tradizioni e delle preoccupazioni delle popolazioni indigene, che reclamano quelle aree come terre ancestrali. Il ministero della salute oltre a sviluppare un programma per garantire l’accesso alle cure per le popolazioni locali, dovrà anche istituire una commissione, incaricata di riparare ai danni ambientali provocati dallo sfruttamento.

Per 43 giorni, a partire dalla metà di settembre, le comunità amazzoniche peruviane hanno occupato gli stabilimenti per l’estrazione del petrolio, impedendo alla concessionaria Frontera Energy Corp di operare. La protesta era cominciata per chiedere la consultazione preventiva, libera e informata delle popolazioni locali, durante le trattative per l’assegnazione di una nuova concessione. Una legge approvata nel 2011 prevede, infatti, che il governo consulti le comunità indigene prima di approvare piani di sviluppo territoriale che potrebbero danneggiare l’ambiente in cui vivono. In questo, come in molti altri casi, si tratta di una norma rimasta solo sulla carta.

Il lotto 192 è una riserva strategica per il paese. Rappresenta, infatti, il 17% della produzione nazionale di greggio, circa 11 mila barili al giorno. La concessionaria attuale è la compagnia canadese Frontera Energy Corp., che opera da due anni e ha ottenuto un contratto che dovrebbe terminare nel 2019. Da diversi mesi il governo ha avviato nuove consultazioni per scegliere l’azienda che potrà ottenere una concessione trentennale del lotto.

A riaccendere le proteste delle comunità locali, oltre alla scarsa trasparenza e all’assenza di decisioni condivise, sono state anche le numerose falle nel sistema di distribuzione del petrolio, gestito dalla società di stato Petroperu, considerato vecchio e mal funzionante. L’azienda rigetta ogni responsabilità denunciando sabotaggi deliberati, da parte di soggetti terzi. La stessa Petroperu ammette ben 13 incidenti solo nel 2016, di cui 10 sarebbero opera di vandali.

La zona amazzonica di Loreto è caratterizzata da una lunga storia di contaminazione del territorio. 40 anni di attività estrattiva e di violazione dei diritti umani. Nel 2015, prima che l’area venisse affidata alla compagnia canadese, la concessionaria argentina Pluspetrol Norte SA venne accusata di aver inquinato 92 territori, nei bacini fluviali di Pastaza, Corrientes e Tigre. A condannare le operazioni petrolifere della multinazionale argentina fu l’Organismo di valutazione e controllo ambientale peruviano, che pubblicò le raccomandazioni per il ripristino delle zone contaminate.

Un appello per la fine dello sfruttamento petrolifero di quell’area amazzonica è arrivato, nel mese di luglio di quest’anno, dalle Nazioni Unite. A rivolgersi allo stato sudamericano sono stati i relatori speciali dell’Onu Baskut Tuncak, per le sostanze pericolose e i rifiuti e Victoria Tauli-Corpuz per i popoli indigeni.

Nel documento pubblicato dai due rappresentanti delle nazioni unite, si fa riferimento all’inadeguatezza delle misure adottate dal Perù per rimediare ai disastri ambientali causati dalla fuoriuscita di greggio.

Nel testo i due relatori sottolineano la violazione dei diritti delle popolazioni locali che hanno perso l’accesso alla terra e alle risorse a causa dell’inquinamento. L’appello congiunto denuncia, inoltre, come oleodotti fatiscenti abbiano causato, in anni recenti, il degrado delle acque e dei suoli.

Gli appelli delle Nazioni Unite non sono una novità. Già nel 2014 la relatrice speciale dell’Onu Victoria Tauli-Corpuz chiedeva il riconoscimento dei diritti delle comunità indigene, escluse da ogni decisione. Due anni dopo il relatore speciale Tuncak definiva «molto urgente» la situazione del lotto 192 e chiedeva un immediato intervento di bonifica.

Le estrazioni di questi anni hanno inquinato fiumi, laghi e terre. Gli studi riportati dai rappresentanti delle nazioni unite parlano di alti livelli di mercurio e di idrocarburi nelle acque. Già nel 1984 la zona dell’allora blocco 1-AB, oggi lotto 192, era considerata dal governo l’area più danneggiata dal punto di vista ambientale.

Secondo dati del 2014, diffusi dal ministero della salute peruviano, nel 98% dei bambini appartenenti alle comunità indigene di Loreto, il tasso di metalli tossici nel sangue era molto al di sopra dei livelli di guardia. A causa dell’esposizione agli inquinanti i membri di alcune comunità indigene avrebbero sviluppato malattie cutanee e intestinali, sottolineano nel loro appello i relatori Onu.

La presenza di contaminanti ha intaccato direttamente la vita delle comunità che si nutrono dei prodotti della foresta, che coltivano la terra e che pescano nei fiumi. L’estrazione di petrolio non solo ha avuto un impatto ambientale devastante ma, in molti casi, ha acuito l’esclusione sociale delle comunità colpite. Le operazioni petrolifere hanno distrutto siti sacri e foreste, hanno costretto intere famiglie ad abbandonare le tradizioni e le loro terre ancestrali.

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