La guerra, «la situazione generale intorno a noi che comporta tante tragiche conseguenze» entra anche in una cerimonia solenne e sorvegliata come la relazione annuale sull’attività della Corte costituzionale. Il presidente della Corte Giuliano Amato chiude la sua relazione con la preoccupazione che la guerra metta a rischio «la tenuta degli ordinamenti costituzionali europei» e cita l’uscita della Russia dal Consiglio d’Europa e di conseguenza dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Ma terminata la lettura, salutato il presidente della Repubblica Mattarella, i presidenti delle camere Casellati e Fico, la ministra della giustizia Cartabia tutti presenti e distanziati al quinto piano del palazzo della Consulta di fronte ai quindici giudici costituzionali in toga, tocco e collare, Amato risponde per quasi due ore ai giornalisti e affronta direttamente la questione dell’Italia in guerra: «Nella Costituzione il ripudio della guerra non è assoluto – sostiene – la guerra difensiva è consentita».

«Valgono gli articoli 11 (“l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”) e l’articolo 52 (“la difesa della Patria è sacro dovere del cittadino”) ma c’è anche l’articolo 78 che stabilendo che “le camere deliberano lo stato di guerra e conferiscono al governo i poteri necessari” inesorabilmente implica che l’Italia possa trovarsi in guerra». Guerra sì, dunque, ma solo difensiva. E se l’aggredito è un altro paese e non la Patria? Il presidente della Corte costituzionale risponde così: «Se all’Italia non fosse consentito di partecipare alla difesa di paesi terzi, allora sarebbero illegittimi sia l’articolo 5 del trattato Nato sia l’articolo 42 del Trattato sull’Unione europea che prevedono il dovere di aiuto e assistenza militare agli aggrediti». Ragionamento che vale in astratto, però, perché in concreto l’Ucraina non fa parte né della Nato né dell’Unione europea.

Eppure appare chiaro che per Amato la situazione, adesso, non è quella del 2003, quando «fu il presidente Ciampi a indicare al governo come unico modo di intervento, in quel caso, di portare un ospedale e forze militari solo a protezione dell’ospedale». Perché allora, siamo nel marzo 2003 e al governo in Italia c’è Berlusconi, la guerra a Saddam non poteva che qualificarsi come guerra di invasione anche se noi eravamo «dalla parte delle democrazie». Oggi, invece, in Ucraina, nazione aggredita, «mi pare che ci sia una qualche differenza che dovrebbe essere valutata».

Allo stesso tempo, Amato dice parole chiare sul «dovere di rispettare gli accordi internazionali» inteso adesso come obbligo di correre ad alzare la spesa per gli armamenti. Non è così, spiega, perché «l’Italia ha sempre rispettato con parsimonia l’obiettivo del 2% del Pil per le spese militari. Io stesso non ho mai pensato, anche quando ho avuto ruoli di governo, che ci si aspettasse che questo impegno, che esiste da molti anni, lo portassimo a compimento totale nel giro di un anno». «Sono impegni – ha aggiunto – che l’Italia ha preso sempre discutendo sui tempi, con la premessa che sarebbero stati tempi graduali». A maggior ragione il presidente della Corte ricorda che non ci sono solo le armi, ma «ci sono anche altri impegni non meno importanti, come gli aiuti allo sviluppo, che zitti zitti abbiamo ridotto fino allo zero virgola».
Con tutto questo spazio ai temi della guerra, nella conferenza stampa sono alla fine rimaste a margini le altre questioni. Sulle quali pure Amato ha risposto. Come a proposito del rapporto della Corte con il parlamento, essendo ormai un classico in continua crescita le ordinanze che chiedono alle camere di intervenire su questioni di sospetta o accertata incostituzionalità. Il presidente, anche nella relazione, ha smussato gli spigoli, parlando di un 2021 «incoraggiante» perché «ci sono state risposte già in corso d’anno e il dialogo ha dato i suoi frutti». Non sempre, ci sono questioni aperte come «l’ergastolo ostativo, il provvedimento sul cognome ai figli e la grande partita del suicidio assistito» e «sul cognome di entrambi i genitori ai figli abbiamo sollevato questione di costituzionalità davanti a noi stessi per cui saremo costretti a risolverla noi se non lo fa il parlamento».

Amato ha poi difeso la Corte di chi l’ha recentemente accusata di politicizzazione, è successo in occasione della conferenza stampa seguita alla bocciatura dei referendum sulla cannabis e sull’aiuto al suicidio. «Spesso l’accusa arriva da chi attribuisce alla politica l’esclusiva di poter comunicare» mentre anche i giudici delle leggi «hanno il dovere di farsi capire parlando italiano come dio comanda». Sempre però facendo attenzione a «non operare da organo politico». E così, sfugge l’insidia il presidente, «nel dibattito sul sorteggio per scegliere i giudici del Csm» (che sta paralizzando la riforma della giustizia della ministra Cartabia) «se arrivasse per prima la Corte a indicare la soluzione migliore, sarebbe difficile dare torto a chi dicesse che siamo entrati in politica».