La capacità di raccontare il proprio tempo e i propri luoghi, ma anche di trascenderli fa di Lu Xun il più importante scrittore moderno cinese, un autore di grande interesse per guardare al lungo Ventesimo secolo, alle sue illusioni e alle sue ambiguità.

Non si può che essere grati, dunque, a Nicoletta Pesaro per avere offerto al lettore italiano questa collezione di suoi racconti, che – sotto il titolo Esitazione (Sellerio, pp. 280, € 15,00) segue la prima, Grida, uscita per lo stesso editore un anno fa.

Come suggerisce la curatrice e traduttrice nella sua riflessione critica, il titolo stesso della raccolta evoca quegli anni del secolo scorso, gli anni Venti, quando la società cinese, o almeno parte di essa, si misura con la consapevolezza di quanto le luminose promesse della modernità si svuotino di senso davanti alle difficoltà di un presente che – come dice propriamente Pesaro – non è più quello della società tradizionale cinese, ma non è neppure quello figurato, e atteso dai giovani intellettuali del Movimento Nuova Cultura, un movimento di rinnovamento culturale del Primo dopoguerra di cui Lu Xun fu indubbio protagonista.

La prima metà degli anni Venti è, infatti, un periodo di transizione in cui, se si prepara quella mobilitazione anti-imperialista e l’emergere della politica di massa che daranno avvio a una nuova fase della rivoluzione cinese, il senso di una profonda crisi politica, sociale e culturale proietta le sue ombre tanto sulla vita quotidiana quanto sulla capacità di pensare il futuro.

In questi racconti quel tempo della Storia si affaccia nelle vite dei protagonisti solo attraverso la sottile, ma anche amara e sarcastica, evocazione dell’illusorietà dei valori e delle aspettative dei protagonisti, piccoli intellettuali al margine del moderno sistema educativo e editoriale, sempre in lotta per sopravvivere – e in cui si legge, in chiaroscuro, anche qualche riflesso autobiografico dell’autore. Incapaci di trovare un proprio posto, di affermare il proprio ruolo in una società ancora plasmata dal passato e dalla sua violenza fisica e psicologica sugli individui, questi piccoli intellettuali non sanno vivere all’altezza degli ideali di modernità di cui ambivano farsi promotori.

Lu Xun ci consegna il ritratto di una Cina di provincia, dove i principi vengono in realtà spesso declinati e piegati alle logiche dell’egoismo, dell’invidia, della paura, o semplicemente delle necessità materiali di vivere: la racconta attraverso l’introspezione psicologica, e un’attenzione costante e dettagliata ai gesti, ai suoni, ma anche alle cose, agli oggetti (dal cibo ai libri), quasi a suggerire la distanza fra le proiezioni mentali e le illusioni, pur spesso infrante, dei protagonisti e la realtà concreta e materiale che ne plasma l’esistenza. Sono racconti, questi, pervasi da un senso di incertezza, ma anche di fallimento e di dolore, da cui, in molti casi, solo la morte – o l’accettazione della sofferenza e del dubbio sembrano rappresentare una liberazione.

Il saggio critico finale della curatrice permette di entrare in modo accurato nell’universo morale, letterario e linguistico di Lu Xun, mettendo anche in luce i rimandi e le suggestioni, tanto dalla tradizione cinese quanto dalla letteratura occidentale, che fanno di questo autore un protagonista primario del Novecento.