Marine Le Pen e Matteo Salvini accelerano. La francese ha fretta di sbarazzarsi degli ingombranti ormai ex alleati di AfD. L’italiano, che sinora non aveva affatto palesato la stessa insofferenza, la spalleggia: «Piena sintonia». I due si sentono in videoconferenza, discutono dell’opportunità di espellere dall’eurogruppo di Identità e democrazia la formazione tedesca, rea di non aver espulso il nazisteggiante Krah, subito, prima delle europee. La decisione finale non è ancora stata presa ma l’orientamento è quello.

Anche se Salvini non aveva mai manifestato alcuna intenzione bellicosa, i “paria” dell’AfD negli ultimi tempi erano iniziati a sembrare piombo nelle ali anche a lui, e comunque a buona parte della Lega. Anche se per motivi opposti. Al partito del nord perché l’antieuropeismo lo condivide solo per modo di dire o non lo condivide affatto. Ai sovranisti duri come Claudio Borghi perché gli alleati in odore di neonazismo sono un ostacolo insormontabile sulla strada dell’unificazione della destra europea. Adesso che l’ostacolo quasi non c’è più proprio Borghi si lancia: «Ora un gruppo dei sovranisti. E rivendico di essere stato il primo a dirlo».

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Nella migliore delle ipotesi corre troppo e non solo perché Marine Le Pen, per ora, non ci pensa affatto e lo dice, ma anche perché lo stesso alleato italiano Antonio Tajani alza le barricate, se non contro la Lega certo contro il Rassemblement National: «Mi fa piacere che finalmente la Lega si sia schierata per l’espulsione di AfD. Ma il problema è anche Le Pen: vuole uscire dalla Nato e non si può pensare di governare l’Europa essendo contro l’Europa».

Salvini non si fa pregare, replica e tra i due rivali diretti, perché questo sono e saranno fino alle elezioni europee i due vicepremier, si innesca una zuffa basata, con un certo effetto surreale, sull’esegesi delle parole di Silvio Berlusconi. Il leghista si dice «sorpreso» dal fatto che Tajani preferisca «il bellicista Macron a Le Pen» ma anche dalle critiche allo slogan leghista «Meno Europa», slogan adottato addirittura da Silvio il Profeta. Le «fonti» di Forza Italia precisano di corsa. Re Silvio aveva scelto la formula «Meno Europa in Italia, più Italia in Europa». Tutta un’altra cosa, ohibò!

Baruffe esegetiche a parte, e anche al netto delle esigenze belliche di una campagna elettorale in cui i due leader si giocano moltissimo nel confronto tra loro, l’acido scambio di battute rivela quanto ancora siano lontane sia la possibilità di unificare la destra che quella di spostare drasticamente l’asse dell’Unione tagliando fuori i socialisti. Da Bruxelles il presidente del Ppe Manfred Weber lo dice forte e chiaro. Specifica che se il Ppe sarà, come sarà, il primo partito anche il presidente della Commissione dovrà essere un popolare.

Poi va giù piatto: «Dopo le elezioni il mio punto di partenza sarà lavorare con Socialisti e Liberali». Insomma, se qualcuno vorrà aggiungersi dalle file dei conservatori dovrà sommarsi alla maggioranza Ursula. Tajani non concorda. Conferma che il suo auspicio «è unire Popolari, Conservatori e Liberali». Certo, «dipende dai risultati elettorali: bisogna aspettare quelli per capire». Significa che lui per primo sa che i numeri per una maggioranza come quella che auspica non ci saranno. Il problema dunque non si porrà. A maggior ragione essendo oggi fuori discussione la possibilità di allargare una coalizione di centrodestra a Marine Le Pen e agli partiti di Identità, anche se depurata dai reprobi di AfD.

Insomma, il terremoto all’interno di Identità e democrazia sembrerebbe aver cambiato di poco gli equilibri europei. Ma è una conclusione quanto meno superficiale. La marcia di Marine Le Pen è ancora lunga ma la strada che ha imboccato è la stessa già in buona parte percorsa da Giorgia Meloni: l’Eliseo val bene una normalizzazione e qualche abiura anche sull’atlantismo. E senza più gli impresentabili di AfD la convergenza di fatto tra Conservatori e Identitari sarà solo questione di tempo.