Stavolta non c’è stata alcuna campagna elettorale pubblica, come impone la legge introdotta per impedire la ripetizione dei mega raduni pro-Erdogan del 2018, eppure metà dei tedeschi con passaporto turco è corsa ugualmente a votare.

«La rilevante partecipazione dimostra la straordinaria importanza di queste elezioni per la comunità turca in Germania. Sebbene il risultato non inciderà sulla loro vita quotidiana, sono tutti consapevoli del momento storico. Si tratta di un voto emotivo» sintetizza Yunus Ulusoy, autorevole esperto del Centro studi turchi di Essen.

Su 1,5 milioni di aventi diritto a presentarsi ai seggi allestiti nei consolati turchi della Bundesrepublik sono stati in 732.776: 48,8% del totale. Più o meno la stessa quota di un lustro fa (49,7%) quando Erdogan fece il pieno di voti nelle circoscrizioni estere (64,8%) a partire da quella tedesca, prima della lista per dimensione.

Nessuno in Germania può contare sui mezzi a disposizione del “Sultano”, il cui verbo viene diffuso (tutti i giorni dell’anno) da decine di megafoni sotto forma di centri culturali o sale di preghiera direttamente finanziati dal suo governo. «Tuttavia, nonostante le risorse ben più scarse, abbiamo registrato un forte attivismo sui social in lingua tedesca dei militanti di Kemal Kılıçdaroglu» sottolinea Sinem Adar, analista dell’Istituto tedesco per gli affari internazionali.

VOTO D’ACCIAIO
Fuori da Facebook e Twitter, fra la gente in carne e ossa connessa al network della comunità turca in piedi fin dai tempi dei gastarbeiter, dove in media 7 su 10 sono soci di un’associazione culturale, sportiva o religiosa con l’emblema della Mezzaluna, si gioca la vera partita tedesca. E prevedere chi vincerà è addirittura scontato.

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Come al solito, sarà chi avrà conquistato il Land del Nordreno-Vestfalia, la roccaforte che esprime un bacino di oltre 500.000 mila voti. Vista da Ankara, Essen non è tanto la capitale della Ruhr quanto la più nevralgica delle sezioni elettorali dove verranno scrutinate le schede di 80 mila turchi-tedeschi.

Nella Città dell’Acciaio la capacità di persuasione di Erdogan ha acceso l’allarme al massimo livello istituzionale: «Il premier turco prova in ogni modo a esercitare pressione sugli elettori in Germania, a volte con metodi inaccettabili» denuncia Herbert Reul, ministro dell’Interno del Nordreno-Vestfalia (Cdu) ricordando la legge anti-ingerenza che vieta la campagna elettorale diretta.
In compenso è Berlino ad accendere i riflettori sul voto turco.

Sintomatica l’istituzione al Bundestag di un «tavolo di osservazione elettorale» politicamente trasversale. Ne fanno parte i deputati di tutti i partiti a eccezione di Afd: da Serap Güler (Cdu) a Ates Gürpınar (Linke), da Macit Karaahmetoglu (Spd) al presidente del gruppo parlamentare turco-tedesco Max Lucks (Verdi) che ha come vice il liberale Jens Teutrine. Se per la Turchia la Germania è un affare di Stato, funziona ancor più viceversa. Nonostante la comunità turco-tedesca sia davvero irriducibile ai format politici come dimostra la realtà impossibile da stereotipare.

KREUZBERG
Letteralmente, il crocevia. Il quartiere turco di Berlino è «la più grande città turca fuori dalla Turchia». Qui si concentra la maggioranza dei 101mila residenti della capitale che hanno votato, ma anche lo zoccolo dell’astensione.

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Pochi originari di Istanbul o Ankara, moltissimi nati (o con i genitori) delle città sul Mar Nero oppure nell’entroterra. Senza contare le migliaia con passaporto turco che non possono che definirsi «berlinesi», come Omer, 60 anni circa, gestore di un chiosco tra i resti del Muro e Görlitzer Park. «Per noi non cambierà niente. L’ho detto cento volte a quelli che sono andati a votare. Noi siamo curdi». Storicamente disilluso non meno di Damla, che di anni ne ha almeno la metà e fa la cassiera alla “Lidl”, ma è andata al seggio «per mandare a casa Erdogan» insieme ai suoi genitori.

Un piede in Germania, l’altro nella Turchia che non sarà mai solo la mèta obbligata delle vacanze. «Non mi sta certo simpatico, però spero che Erdogan non perda. Il disastro economico? Colpa sua, di sicuro. Ma è l’unico che qui ci fa sentire fieri di essere turchi» spiega Hakan, pensionato, ex capo-reparto Siemens.