Europa

Giravolta Scholz, il cancelliere ora è pronto a chiamare Putin

Il cancelliere tedesco Olaf ScholzIl cancelliere tedesco Olaf Scholz – Kay Nietfeld /Ap

Germania A capo di un governo di minoranza apre allo zar di Mosca e ad anticipare il voto di fiducia. «Servirà il via libera degli alleati e non farò alcuna mossa senza aver consultato Kiev»

Pubblicato un giorno faEdizione del 12 novembre 2024

«Parlerò presto con il presidente russo». Non passa giorno a Berlino senza che Olaf Scholz – ora declassato a capo di un governo di minoranza – faccia un passo indietro rispetto alle sue ex invalicabili linee rosse sempre sostenute con la massima forza. Dopo avere innescato la retromarcia sulla data del voto anticipato da lui inizialmente previsto per marzo 2025, cedendo così all’insostenibile pressione dell’opposizione al Bundestag (e ai sondaggi indicanti due terzi dei tedeschi favorevoli a tornare alle urne quanto prima), il cancelliere della Spd abbandona di colpo la postura bellicista e si adegua alla nuova era Trump.

ACCADE POCHE ORE dopo la telefonata fra Scholz e il futuro presidente Usa di domenica scorsa durata 25 minuti in un atmosfera definita «amichevole e distesa» da entrambi gli entourage diplomatici, in cui i due leader hanno rinnovato la volontà della collaborazione costruttiva fra Berlino e Washington non solo sulla guerra in Ucraina. Senza nominare una sola volta Putin, dai microfoni della tv pubblica Ard, il cancelliere si esibisce in una lezione di realpolitik applicata alla debolezza politica: in questo caso la sua personale.

«Naturalmente servirà il via libera da parte degli alleati e non farò alcuna mossa senza prima essermi prima coordinato con i partner, a partire dal governo di Kiev. Un’iniziativa di questo genere comporta contatti e trattative con molte persone» minimizza Scholz dopo avere clamorosamente aperto allo zar di Mosca con cui fino alla settimana scorsa era impensabile dialogare.

SVOLTA NETTA rispetto al recente passato. In piena rotta di collisione, peraltro, con la politica estera della Germania incarnata dalla ministra Annalena Baerbock dei Verdi che non sembra avere la minima intenzione di togliersi dalla testa l’elmetto dei «valori occidentali» sebbene la crisi di governo sia già oltre il punto di non ritorno.

Sempre sul solco delle ritirate strategiche ieri Scholz si è rimangiato anche la tattica della resistenza a oltranza volta a rimandare il voto di fiducia su di lui, l’atto formale dopo cui il presidente della Repubblica, Frank-Walter Steinmeier potrà indire nuove elezioni entrò 60 giorni. Avrebbe voluto posticiparlo a metà gennaio, invece quasi certamente verrà calendarizzato prima delle feste di Natale, almeno a sentire lo stesso cancelliere diventato anche qui improvvisamente possibilista. «Decideranno la data i capigruppo della Spd e dell’Unione» fa sapere, come non fosse più affar suo.

Così, tutto nel Paese spinge verso il rapido ritorno alle urne. Eccetto l’associazione federale dell’industria della carta, costretta ieri a respingere l’inverosimile accusa di voler boicottare le urne dopo aver fatto notare il rischio della mancanza della materia prima necessaria a stampare milioni di schede elettorali: cartiere e tipografie l’hanno già destinata quasi interamente ai biglietti natalizi e ai calendari 2025.

L’UNICO PUNTO fermo di Scholz sembra dunque solo la sua inflessibile volontà di ricandidarsi alle prossime elezioni. Ieri il presidente della Spd, Matthias Miersch ha comunicato in conferenza stampa che l’investitura ufficiale a spitzenkandidat del capo del governo non potrà comunque avvenire prima della fine di quest’anno bensì durante il prossimo congresso del partito. Ma non sarà una resa dei conti: Miersch ha escluso che i delegati Spd potranno scegliere un candidato diverso da Scholz, mentre il ministro della Difesa, Boris Pistorius, prova ad abbassare le proprie quotazioni in costante rialzo sui sondaggi e anche fra gli iscritti, smentendo pubblicamente di voler sfilare il posto al cancelliere durante un incontro del partito a Berlino.

L’altro candidato di punta della coalizione rosso-verde di Scholz, invece, il ministro dell’Economia, Robert Habeck – da poche ore in campo nonostante i Verdi valgano solo il 10% nei sondaggi – continua a rimanere nel mirino e a rappresentare il target preferito per Trump. Il suo mentore Elon Musk dopo avere bollato Scholz come «uno scemo» ha ripetuto l’epiteto, sempre in tedesco, anche nei confronti del vicecancelliere Habeck rilanciando il tweet di un account critico nei confronti della politica green.

Risultato pratico: zero; ma è il secondo “pizzino” in pochi giorni da Washington firmato dal padrone della Gigafactory Tesla, alle porte di Berlino, e conferma in ogni caso la fine di qualunque residua autorevolezza degli attuali leader politici della Bundesrepublik.

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