Tajeldine: «Allarme eccessivo per attaccarci, il Venezuela ce la farà»
Intervista Basem Tajeldine, analista politico venezuelano
Intervista Basem Tajeldine, analista politico venezuelano
Basem Tajeldine è un analista politico venezuelano specialista in questioni mediorientali e proveniente dal Partito comunista venezuelano, formazione che ha scelto di non sciogliersi nel Partito socialista unito del Venezuela, ma di appoggiare il chavismo nella coalizione Gran Polo Patriottico.
Una voce ascoltata e radicale, che nei suoi interventi evidenzia senza infingimenti le principali criticità del socialismo bolivariano.
Crisi alimentare, crisi politica, crisi energetica. Secondo le destre e i grandi media l’esperimento bolivariano ha fallito e il governo è al lumicino. E’ così?
No, le cose non stanno così. Intanto, non è vero che la diminuzione della settimana lavorativa per gli impiegati pubblici abbia significato un abbassamento del salario. La politica del governo va in tutt’altro senso, i lavoratori e i settori popolari sono al centro delle preoccupazioni politiche, il piano d’emergenza economica deciso dal presidente prevede il rilancio della produzione nazionale e quello della sovranità produttiva: perché il nostro problema principale resta la dipendenza dal petrolio, il fatto di essere un’economia ancora troppo basata sulla rendita. Ora il prezzo del barile si sta leggermente riprendendo e questo ridà un po’ di fiato all’economia, ma il problema principale resta l’alta inflazione che fa lievitare anche i prezzi degli alimenti: un problema che viene da lontano e che è amplificato dall’azione destabilizzante del mercato parallelo del dollaro. Nel sito principale che ne dà conto, Dolar Today, un dollaro è uguale a 1.000 bolivar… Intanto, assistiamo a una fortissima pressione delle grandi istituzioni internazionali per rimettere le mani sulle nostre ricchezze. Le agenzie di rating aumentano la qualificazione del rischio, in modo da imporre pagamenti anticipati e in contanti e altissimi tassi di credito quando dobbiamo acquistare tecnologia o prodotti. E’ un’aggressione generale all’America latina e alle alleanze solidali costruite in questi anni, che hanno avuto ed hanno al centro il Venezuela: un “pericoloso” esempio da stroncare. Dal Medioriente al nostro continente, il problema per l’imperialismo resta quello di appropriarsi delle risorse e le strategie adoperate per riuscirci si assomigliano, fatte le debite differenze di contesto. Una delle tattiche principali, attuata con il supporto dei grandi media, è quella di creare allarmi e discredito per giustificare sanzioni e ingerenze e indurre la popolazione ad allontanarsi dal socialismo.
Lei dice spesso, però, che cercare le colpe unicamente nel campo avverso non è un buon esercizio: il chavismo, che ha puntato tutto sul consenso, ha perso le elezioni del 6 dicembre e ora, secondo alcune inchieste, le destre potrebbero vincere anche il referendum revocatorio.
L’opposizione, di certo, ha fatto campagna utilizzando l’esasperazione della popolazione, da lei stessa provocata con la guerra economica. Detto questo, il chavismo ha lasciato anche spazio alla destra endogena, alla corruzione, alla spettacolarizzazione della politica da parte di certi dirigenti che hanno perso il polso della situazione reale. La macchina del partito dev’essere separata da quella dello stato, altrimenti si creano burocratismi e corti circuiti e anche il partito si disintegra. Questo, ora, è diventato molto chiaro e il rinnovamento è stato assunto in pieno a tutti i livelli della militanza e del partito. Ci sono stati molti arresti di corrotti e non si è guardato in faccia a nessuno. Il problema è che, in tutti questi anni di attacchi a Maduro, non c’è stato modo di spingere a fondo su quel rinnovamento che Chavez ha definito Golpe de Timon, ma la capacità di reazione dei settori popolari è sempre molto forte, il nostro è un popolo cosciente e maturo che non vuole cedere
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