Da Salò all’Aprica doveva essere il tappone degli sfracelli e delle rivoluzioni, e ne sono invece uscite le solite conferme. La tappa se l’aggiudica Hirt, a coronamento della fuga più bella e massacrante di questo Giro, mentre tra i favoriti non cambia, in pratica, un bel niente. Carapaz in maglia rosa, Landa e Hindley arrivano insieme sul traguardo, e l’unico che guadagna un’inezia, l’australiano, lo fa grazie ai quattro secondi di abbuono per il terzo di giornata (secondo si era già piazzato Arensman, se ne risentirà parlare). Aveva detto alla vigilia Hindley di non esser qui per mettere i calzini ai millepiedi, ma la metafora è destinata a lasciare il segno più nel repertorio di Bersani che sulle salite alpine. Tanto che Almeida, staccato si e no di una ventina di secondi, continua sornione ad assistere un po’ discosto ai buffetti che si scambiano tra di sé gli scalatori, e a tenere nel mirino la crono di Verona.

Eppure all’inizio la tappa aveva promesso qualche sconquasso, ché nella fuga di giornata si erano intruppati non solo gli abituali avventurieri, ma anche gente della media borghesia della classifica generale, Hirt e Arensman appunto, e poi Valverde, Carthy, Martin e tanti altri. Il passo di Corocedomini era servito giusto a questo, a far sì che la fuga prendesse corpo, senza mettere in croce nessuno. Incombeva lo spauracchio del Mortirolo, sulle cui rampe aveva preso il volo per la prima volta il giovane omino di Cesenatico (tante ancora, a distanza di anni, le scritte sull’asfalto per Pantani). Complice però un disegno del percorso un po’ sconclusionato – la montagna affrontata dal versante più leggero, e soprattutto distante dal traguardo – l’unico a provare ad onorare gli antenati è, come sempre, Nibali, che mette i suoi a tirare il collo alla concorrenza per provare, in discesa, a combinare qualcosa. Ma lo stradone che attraversa la Valtellina che attende i corridori a fine scesa induce tutti a miti consigli.

Così, mentre il tentativo di Nibali viene riassorbito, sul gruppo dei migliori rientrano torme di gregari, ed il vantaggio dei fuggitivi lievita tanto da far loro capire che l’alloro di giornata è alla portata.
Sulla salita finale di Santa Cristina non si assiste a scatti, la selezione è fatta par l’arrière dagli uomini di Landa, giusto per selezionare il terzetto con Hindley e Carapaz. Davanti è Kamna a rompere gli indugi, ripreso poi da Arensman e Hirt. Il primo, troppo smanioso, chiede però troppo a se stesso, Hirt ne approfitta, lo pianta in asso in vista del GPM e trionfa a braccia alzate sul traguardo, per sé e per il compagno Pozzovivo, all’ennesima caduta della sua ventennale, bellissima carriera.