Alla ricerca del ghiaccio perduto
Intervista Studiare il clima del passato per prevedere quello futuro. Parlano i glaciologi Dorthe Dahl-Jensen e Johannes Oerlemans, vincitori del Premio Balzan per le scienze naturali 2022
Intervista Studiare il clima del passato per prevedere quello futuro. Parlano i glaciologi Dorthe Dahl-Jensen e Johannes Oerlemans, vincitori del Premio Balzan per le scienze naturali 2022
Hanno studiato il clima del passato per predire quello del futuro. Hanno effettuato campagne di carotaggio degli strati di ghiaccio più profondi e messo a punto modelli delle calotte polari e delle loro dinamiche per aprire la strada a proiezioni sempre più attendibili dei cambiamenti del livello del mare. Nel fare ricerca, non hanno trascurato l’insegnamento e hanno formato nuove generazioni di glaciologi. Con queste motivazioni, la scienziata danese Dorthe Dahl-Jensen e il suo collega olandese Johannes Oerlemans sono stati insigniti del Premio Balzan per le scienze naturali 2022, consegnato nelle scorse settimane all’Accademia dei Lincei a Roma.
Professoressa Dahl-Jensen e professor Oerlemans, perché la paleo-climatologia è così importante? Quali informazioni riuscite a ricavare dall’analisi dei carotaggi dei ghiacciai?
I carotaggi di ghiaccio ci permettono di individuare strati annuali di ghiaccio grazie ai quali possiamo tornare indietro nel tempo, un po’ come studiare gli anelli di accrescimento dei tronchi degli alberi. In Groenlandia siamo arrivati a 150 mila anni fa, in Antartide a 800 mila anni fa con un’analisi di strati di ghiaccio profondi 3,5 km. Questi ci restituiscono molte informazioni: l’entità delle precipitazioni nevose, il verificarsi di eruzioni vulcaniche, la quantità di gas ad effetto serra presenti nelle bolle d’aria intrappolate nel ghiaccio, l’energia solare, e, in alcune zone, sulle Alpi, troviamo anche sedimenti con tracce biologiche, come per esempio pollini o licheni che ci danno informazioni sulle forme di vita. Le carote di ghiaccio profonde della Groenlandia mostrano che il nostro sistema climatico ha subito grandi e bruschi cambiamenti nel passato, anche senza l’influenza umana, e questo ci aiuta a capire cosa potrà accadere nel futuro. Per esempio, noi sappiamo che tra 130 mila e 115 mila anni fa, durante l’ultimo periodo interglaciale, chiamato Eemiano, le temperature erano di 5°C più alte rispetto al presente in Groenlandia. Sappiamo inoltre che la calotta polare della Groenlandia aveva perso circa il 20% del suo volume che corrisponde all’innalzamento del livello del mare di 2 metri. Siccome si prevede che nell’Artico si verificherà un riscaldamento simile a quello del periodo Eemiano, dobbiamo fare attenzione.
Con quanta precisione è possibile prevedere l’innalzamento del livello del mare?
Le dinamiche sono molto complesse e abbiamo bisogno di approfondire le ricerche. Quello che sappiamo è che il livello del mare cresce sempre più velocemente: nel periodo 1993-2004 è cresciuto di 2,7 millimetri all’anno, mentre nel 2004-2015 di 3,5 millimetri all’anno. Quel che è certo è che tutto dipende da come riusciremo a stabilizzare il clima riducendo le emissioni di gas serra globalmente. Siamo in ritardo di 30 anni nella transizione energetica. Siamo rammaricati dalla sfiducia dimostrata nei confronti della comunità scientifica.
Da quanto tempo vengono studiati gli strati più profondi del ghiaccio?
La storia dei carotaggi di ghiaccio in profondità inizia attorno alla metà degli anni Sessanta nella base americana chiamata Camp Century nel nord-ovest della Groenlandia. Lì l’esercito americano voleva costruire una base segreta sotto il ghiaccio dove installare armi nucleari e aveva cominciato a perforare in profondità. In quegli anni un professore danese, Willi Dansgaard, che aveva messo a punto un metodo per misurare gli isotopi accumulati nel ghiaccio, ha chiesto di poter analizzare quegli strati e ha provato che potevano essere utilizzati come indicatori del clima del passato. Oggi, campioni di carotaggi provenienti da varie parti del mondo vengono conservati nella base franco-italiana Concordia in Antartide, in una sorta di archivio chiamato Ice Memory. La loro estrazione e conservazione è una corsa contro il tempo, perché molti ghiacciai si stanno degradando o rischiano di scomparire nei prossimi decenni.
Come scegliete il luogo esatto dove fare i carotaggi?
Noi andiamo alla ricerca degli strati di ghiaccio più antichi che individuiamo attraverso il radio echo sounding, uno strumento della radioglaciologia che ci permette di mappare gli strati di ghiaccio per individuare i luoghi più adatti per le perforazioni.
Voi studiate anche i flussi di ghiaccio («ice stream»). Cosa sono e perché sono importanti?
Possiamo descrivere un «ice stream» come un’area di ghiaccio che si muove più velocemente di altre nella calotta glaciale. È come un fiume di ghiaccio che si riversa in mare. In Groenlandia ce ne sono ovunque, il più eccezionale è lo Jakobshavn Isbræ che si muove ad una velocità di 16 km all’anno, ed è il più veloce del mondo in questo momento. Dall’anno 2000 tutti gli ice stream hanno accelerato i loro movimenti, aumentando la quantità di ghiaccio, sottoforma di iceberg, e quindi di acqua dolce che riversano nel mare che ha un impatto sull’innalzamento del livello del mare. Noi crediamo che l’aumento della velocità possa essere causato dal riscaldamento del mare, dall’aumento della superficie dell’acqua di fusione che si infiltra sotto gli ice stream e dall’aumento delle precipitazioni nevose. Tuttavia, non siamo ancora in grado di capire a fondo questo fenomeno. Certo è che l’aumento del flusso di acqua dolce dalla Groenlandia potrebbe causare il collasso della Corrente del Golfo nell’oceano Atlantico, con conseguenze molto importanti sul clima globale.
Professor Oerlemans, lei si sta occupando anche di come rallentare il ritiro dei ghiacciai sulle Alpi, sempre più preoccupante. Cosa ne pensa dei teli di plastica che sono stati stesi su alcuni ghiacciai per proteggerli? È una tecnica che può funzionare?
Sulle «coperte» stese sui ghiacciai c’è molta discussione tra gli esperti perché non sono poi così ecocompatibili come si era creduto in un primo tempo, dal momento che rilasciano molti frammenti di plastica. Esistono soluzioni migliori, che sono esteticamente più gradevoli e tecnicamente più complesse, come quella di stendere sui ghiacciai uno strato di neve. Questo si può fare solo in alcune circostanze, cioè dove l’acqua è disponibile, e possibilmente senza uso di sostanze chimiche per far ghiacciare l’acqua. Se lo vogliamo fare anche senza dispendio di energia, dobbiamo poter prendere l’acqua da almeno 200 metri più in alto per portarla ad una pressione di 20 bars. Questo è il punto critico. Lo scorso anno ha funzionato sul ghiacciaio Diavolezza, nella zona di St. Moritz, Svizzera.
Come utilizzerete i fondi per la ricerca messi a disposizione dal premio Balzan?
Li useremo per un carotaggio profondo 700 metri della calotta polare Muellers sull’isola Axel Heibergs nella regione artica canadese di Nuvanut nel 2024. L’oceano Artico sta subendo cambiamenti drammatici dal momento che lo strato di ghiaccio si sta assottigliando e si ritira
sempre più a nord sia in estate che in inverno. Dalla calotta di ghiaccio Muellers possiamo recuperare nuovi dati sul ghiaccio marino e sulle condizioni climatiche del passato. Inoltre, l’analisi stratigrafica e la datazione degli strati di ghiaccio ci fornisce dati sull’età e sulle dinamiche dei flussi di ghiaccio. È un progetto che faremo in collaborazione con gruppi di ricerca di Canada, Danimarca e Germania.
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