La Ue da ieri ha messo in atto due misure contro la Russia: è entrato in vigore l’embargo sulle importazioni di greggio russo trasportate via nave e con il G7 e l’Australia è stato messo un tetto al prezzo del petrolio di Mosca, a 60 dollari il barile, sopra il quale ne è proibito il trasporto da parte delle imprese di paesi firmatari.

Le due misure sono correlate: senza il price cap ci sarebbe il rischio di un’impennata dei prezzi del petrolio sul mercato mondiale, la Russia avrebbe maggiori possibilità di vendere altrove, mentre il tetto si applica a tutti i trasporti, anche fuori Ue.

Ci sono deroghe: la Bulgaria è un’eccezione, ha tempo fino a fine 2024 per applicare l’embargo (è troppo dipendente), mentre Ungheria, Repubblica ceca e Slovacchia possono continuare a importare dalla pipeline Druzhba. Germania e Polonia hanno invece messo fine all’oleodotto dalla Russia. Per la Ue, fino al 90% dell’export russo dovrebbe essere colpito, mentre dall’inizio della guerra la Ue ha pagato a Mosca 67 miliardi di euro per le importazioni di petrolio, una cifra che ha praticamente finanziato l’aggressione dell’Ucraina.

LA RUSSIA è il secondo esportatore di greggio al mondo, dopo l’Arabia saudita. Prima della guerra forniva la metà dei bisogni della Ue. Anche se il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, afferma che queste decisioni destabilizzeranno il mercato mondiale, per il momento non dovrebbero esserci grandi scossoni, con aumenti di prezzo.

La Ue ha già diminuito fortemente la dipendenza dal petrolio russo, 40% in meno dall’inizio della guerra in Ucraina. Secondo la Iea (Agenzia internazionale dell’energia), la Russia ha diminuito l’esportazione di petrolio verso la Ue di 1,4 milioni di barili al giorno (a 3,9 milioni).

Il terremoto, con l’esplosione dei prezzi, è però rimandato al 5 febbraio 2023: entrerà in vigore l’embargo sui prodotti petroliferi raffinati, cioè gasolio, combustibile per aerei, diesel (qui la dipendenza Ue dalla Russia resta al 60% e ci sono poche alternative di trovarne altrove).

L’embargo sul greggio russo è stato deciso mesi fa dalla Ue, che da metà agosto già ha messo lo stop al carbone di Mosca, mentre sul gas è la Russia a bloccare il commercio. Gli Usa già da marzo applicano l’embargo sul greggio russo. Sul price cap ci sono voluti mesi di negoziati per arrivare a un accordo che proibisce alle imprese dei paesi firmatari di fornire servizi che permettono il trasporto marittimo del greggio russo: sono colpiti in primo luogo gli armatori greci (21% della capacità mondiale) e gli assicuratori britannici.

C’è il rischio che altri conquistino questi mercati, a detrimento degli europei. La decisione del G7 di mettere un tetto a 60 dollari il barile mira a evitare scossoni. Il greggio dalla Russia è pagato sui 65 dollari, sotto il prezzo mondiale che sta toccando punte di 80-85 (in ribasso rispetto a mesi fa, sopra i 100).

Domenica l’Opec+ (13 paesi) in riunione virtuale non ha deciso niente di nuovo, non cambia politica, pur confermando l’opposizione al tetto del prezzo dei grandi paesi petroliferi: è stata confermata la decisione presa lo scorso ottobre di diminuire la produzione di due milioni di barili al giorno fino a fine 2023. Per Volodymyr Zelensky il tetto a 60 dollari è «una decisione poco seria».

Il presidente ucraino avrebbe voluto una scelta più drastica, un barile a 30 dollari, più vicino ai costi di produzione russi, per privare drasticamente il regime di Putin delle entrate petrolifere. Questa ipotesi nella Ue era appoggiata da Polonia e Baltici. Il G7 ha comunque deciso di rivedere il price cap, a seconda delle evoluzioni del mercato mondiale.

REGNA L’INCERTEZZA. La Ue per il greggio può rivolgersi altrove, al Medio Oriente. Il prezzo del greggio è anche in calo a causa dei timori di recessione nell’economia mondiale, c’è l’incognita della Cina e delle conseguenze della politica zero Covid, anche se è in corso un allentamento.

L’embargo su grezzo russo e il price cap entrano in vigore in un momento delicato anche per le relazioni Ue-Usa. La Ue è preoccupata per gli effetti protezionistici dell’Inflation Reduction Act di Joe Biden, mentre il Gnl statunitense ha sostituito, con ampi guadagni americani, le esportazioni di gas boicottate dalla Russia.