Alessia nel carcere del dissenso. E anche nelle scuole è rivolta
Iran Costruito nel 1972 e gestito dalla Savak, oggi è prigione per i detenuti politici e gli iraniani con doppia cittadinanza accusati di spionaggio. La trentenne italiana avrebbe chiamato i suoi da Evin. Farnesina al lavoro. Dopo gli atenei, via il chador per protesta nei licei
Iran Costruito nel 1972 e gestito dalla Savak, oggi è prigione per i detenuti politici e gli iraniani con doppia cittadinanza accusati di spionaggio. La trentenne italiana avrebbe chiamato i suoi da Evin. Farnesina al lavoro. Dopo gli atenei, via il chador per protesta nei licei
È soprannominato «Hotel Evin» il famigerato carcere situato nella parte settentrionale della capitale iraniana, in un’area residenziale ai piedi dei monti Alborz. Terra gialla e alberi brulli. Se abiti a Teheran nord, capita di passarci in taxi.
È QUI CHE si troverebbe Alessia Piperno. La trentenne romana vi sarebbe stata portata subito dopo il fermo, scattato secondo il padre il giorno del suo compleanno, il 28 settembre. E dalla prigione di Evin avrebbe telefonato in Italia per chiedere aiuto.
In questo stesso carcere sono tuttora rinchiuse – tra gli altri – la ricercatrice dell’università parigina Sciences Po, Fariba Adelkhah, e l’ex deputata Faezeh Hashemi Rafsanjani. La prigione di Evin è stata costruita nel 1972.
Qui la Savak, la polizia dello scià, torturava gli oppositori con strumenti acquistati dagli Stati uniti e da Israele. Oggi vi sono rinchiusi i prigionieri politici, oltre ai delinquenti comuni. Qui sono stati detenuti l’avvocata Shirin Ebadi (Nobel per la Pace 2003), la sua collaboratrice Nasrin Sotoudeh, la loro collega Mehrangiz Kar, il filosofo Ramin Jahanbegloo, i giornalisti Akbar Ganji e Roxana Saberi, la dipendente di Reuters Zananin Zaghari-Ratcliffe, il blogger Hussein Derakhshan, l’accademica australiana Kylie Moore-Gilbert. Cittadini iraniani. Cittadini iraniani e al tempo stesso di un paese occidentale. Stranieri. Poco importa. Se l’imputazione è spionaggio, oppure propaganda contro lo Stato», si finisce qui.
L’ITALIA è in ottimi rapporti con l’Iran ma non fa parte dei 5+1, i negoziatori dell’accordo nucleare – in fase di rinegoziazione – firmato dal presidente statunitense Obama nel 2015 e mandato a monte dal suo successore Trump nel 2018. Di conseguenza, l’Italia non ha granché da offrire in cambio del rilascio dell’ostaggio nelle mani dei pasdaran.
L’unica soluzione sarebbe agire con l’aiuto dell’Ue ma, in risposta alla repressione contro i manifestanti, la diplomazia francese ha proposto a Bruxelles di «congelare i beni e vietare gli spostamenti dei responsabili della repressione in Iran».
Mentre la Farnesina si adopera per far ritornare la nostra connazionale in Italia, in Iran continuano le proteste innescate dalla morte di Mahsa Amini, la ventiduenne arrestata dalla polizia morale per aver trasgredito al codice di abbigliamento.
DOPO QUASI tre settimane, non tutti sono però contenti delle manifestazioni che animano le città dopo le cinque del pomeriggio. Nel quartiere settentrionale Tajrish, non lontano dal carcere di Evin, i mercanti del bazar si lamentano perché il loro fatturato si è dimezzato: quando i manifestanti danno fuoco ai copertoni e ai cassonetti, la gente non va più per negozi, nemmeno i credenti che tornano dalla preghiera.
Dopo aver coinvolto 111 università tra cui il Politecnico Sharif di Teheran, ieri le proteste hanno contagiato anche gli istituti superiori: in varie città le liceali si sono tolte il chador in pubblico protestando per la morte di Mahsa Amini. Lo rende noto l’emittente britannica Bbc sul suo sito pubblicando alcuni video in cui si vedono decine di studentesse senza velo bloccare una strada a Shiraz gridando «morte al dittatore», in riferimento alla Guida Suprema Alì Khamenei.
Non solo Teheran, dimostrazioni con studentesse che hanno sfidato la legge togliendosi il velo si sono tenute tra negli ultimi due giorni anche a Saqez, Sanandaj e Karaj. Intanto, il regime persevera nel reprimere il dissenso.
DA TEHERAN il capo della magistratura Hojjatoleslam Mohseni Ejei ha dichiarato che protestare è legale in Iran ma, nel descrivere le proteste in corso, ha menzionato incendi a edifici e attacchi ad agenti di polizia che «non possono essere considerati modi di manifestare».
«Incidenti di questo tipo non sono qualcosa di nuovo in Iran dal momento che i nemici della Repubblica islamica hanno fatto tutto quello che potevano, nei passati quarant’anni, per impedire a questo sistema di fare progressi», ha affermato il funzionario. Il capo della magistratura ha poi aggiunto che «il vandalismo non è considerato un modo per protestare» e sarà affrontato «in modo deciso e legale».
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