Alessia Piperno deve essere liberata. Le autorità italiane devono far valere il rispetto dei diritti umani almeno nei confronti dei cittadini italiani, anche se sarebbe meglio dare la possibilità anche alle/agli iraniane/i di esprimere la loro volontà.

Rispettiamo tuttavia la volontà di silenzio da parte della famiglia di Alessia per facilitare il lavoro delle autorità. Non possiamo però esimerci dal condannare i messaggi sbagliati – e in qualche caso di odio – che circolano sui social. Quando a incorrere in una drammatica esperienza è una donna, se l’è sempre andata a cercare. Ora, come in passato, sembra che la maggiore preoccupazione degli italiani sia quella di non tirare fuori soldi per liberare Alessia. Vi rassicuro: il problema in questo caso non sono i soldi ma i diritti universali, quali sono i diritti delle donne in tutto il mondo.
Se Alessia è rinchiusa nel famigerato carcere di Evin, dove sono passate e continuano ad essere detenute diverse prigioniere politiche che hanno subito le violenze dei detenuti comuni, è urgente intervenire non solo per Alessia ma anche per accendere i riflettori sulla situazione di donne che hanno la sola colpa di chiedere il rispetto dei diritti umani.

E a questo proposito mi sembra inadeguata la risposta delle femministe e anche delle musulmane che vivono in occidente e che per un giorno, tutte insieme, dovrebbero togliersi il velo e inviare una ciocca di capelli in Iran. Il contrario di quello che fanno il 1° febbraio nell’hijab day. Persino sulle passerelle dei grandi stilisti e sulle riviste di moda l’hijab è sdoganato. Qual è il problema se fai soldi portando il velo e nessuno ti obbliga a farlo?

Una ciocca di capelli sì, ma il velo non si tocca. Il relativismo culturale che imperversa in occidente impedisce di comprendere a fondo la lotta delle donne iraniane e pur dando rilievo alle manifestazioni in Iran i giornali continuano a intervistare donne velate convinte che la loro scelta sia una scelta di libertà. E la Commissione europea nella campagna a favore dell’istruzione delle donne sceglie l’immagine di una bambina velata! Peraltro, in età in cui il velo non è nemmeno previsto! Eccesso di zelo. Forse. Ma a favore di chi? Di chi considera il velo un obbligo religioso – non previsto dal corano – o semplicemente un pezzo di stoffa, imposto solo alle donne per affermare la propria identità, secondo l’ayatollah Khomeini.

Le notizie che ci arrivano da Tehran dimostrano che il velo non è un semplice orpello ma il simbolo dell’oppressione delle donne e di tutti i diritti umani. Tanto è vero che giovani e meno giovani seguono le donne nelle loro manifestazioni chiedendo la fine del regime teocratico. «Non sottovalutare l’hijab, perché questa volta può scatenare la rivoluzione. Dopo quasi mezzo secolo gli iraniani hanno capito che non si tratta solo di un fazzoletto ma di un’umiliazione reiterata generazione dopo generazione, l’hijab è l’emblema di tutte le violazioni dei diritti umani perpetrati dal governo della Repubblica islamica ai danni delle donne e del popolo intero», scriveva nei giorni scorsi un militante iraniano su La Stampa.

Si parla di rivoluzione perché la rivolta è interclassista, non sono solo gli studenti, non solo le donne, come in passato, ma tutti gli iraniani sono in piazza a rischiare la propria vita. L’uso del velo prevede anche un comportamento adeguato ai canoni di un islam integralista che nega i diritti delle donne. Lo sanno bene le afghane – ormai dimenticate dai media un anno dopo il ritorno al potere dei taleban – che in questi giorni sono scese anche loro in piazza in solidarietà con le sorelle iraniane sfidando le pallottole dei guardiani della prevenzione del vizio e promozione della virtù.