Professor Edoardo Ales, docente di Diritto del lavoro e della previdenza sociale all’università Napoli “Parthenope”, la Francia in piazza contro una riforma che innalza da 62 a 64 anni l’età pensionabile mantenendo però il sistema retributivo. Come si deve sentire un lavoratore italiano che a causa della Fornero deve attendere 67 anni o un precario che sa che avrà una pensione da fame solo a 70 anni calcolata con il contributivo puro?

Detta così lo squilibrio è evidente. Il ragionamento però è complesso perché sono diversi i contesti storici e sociali. La Francia ha una grandissima storia di mancate riforme: vari presidenti hanno trovato un’opposizione politica fortissima. La riforma Fornero invece è figlia di un vincolo esterno ed è stata fatta da un governo tecnico, dunque senza opposizione politica. Le scaturigini sono però simili dal punto di vista dei conti pubblici: anche in Francia il sistema previdenziale non è più sostenibile.

Il professor Edoardo Ales, esperto di diritto previdenziale

E allora perché però i francesi mantengono il sistema retributivo – seppur calcolato su 25 anni – che è molto più generoso rispetto al contributivo?

La ragione è politica. Il governo francese evidentemente ritiene impercorribile il passaggio al contributivo: aumentando da 62 a 63 anni l’età pensionabile conta di risparmiare alcune centinaia di milioni di euro l’anno. Quanto a noi è vero che già la riforma Treu-Dini del 1995 prevedeva il passaggio al contributivo, il problema è che fino al 2012 si è trattato di un contributivo virtuale, senza reale capitalizzazione. Abbiamo un pregresso storico non sopportabile: dal 1969 le prestazioni retributive sono state troppo generose e coperte in larga parte dalla fiscalità generale e non dai contributi di datori e lavoratori.

Anche la Germania pensa a una riforma e anch’essa con un aumento dell’età pensionabile molto inferiore dei nostri 67 anni.

Quello tedesco è un caso ancora diverso. La Germania ha sempre puntato sull’autofinanziamento tramite i contributi versati. I vari enti previdenziali hanno una responsabilizzazione forte da parte degli stessi lavoratori che li cogestiscono tramite i sindacati. Per questo oggi la Germania può permettersi un’età pensionabile più bassa della nostra.

La redazione consiglia:
«Le pensioni per i giovani? Basta attingere agli 80 miliardi di risparmi Fornero»

La riforma Fornero però è del 2012 ed è obiettivamente draconiana: abbiamo l’età pensionabile più alta in Europa che aumenterà perché legata automaticamente all’innalzamento dell’aspettativa di vita. Sono passati dieci anni e perfino la Ragioneria generale dello stato certifica che ha prodotto risparmi per almeno. Non abbiamo ribilanciato abbastanza i conti previdenziali?

La riforma fu imposta dalla lettera della Bce e dalla crisi dello spread. È certamente draconiana ma, nonostante l’effetto della pandemia che ha reso più laschi i vincoli dell’austerità europea, ritengo improbabile che la commissione Europea ci consenta di modificare in modo profondo la riforma Fornero.

Difatti il premier olandese Rutte da Davos continua a bacchettarci per la troppa spesa pensionistica. Una percentuale – il 16% del Pil – però esagerata e figlia dalla mancata separazione dal computo della spesa assistenziale.

Rutte può avere ragione dal punto di vista politico ma sbaglia dal punto di vista tecnico. Molte prestazioni fornite dall’Inps sono di tipo semi assistenziale a partire dalle pensioni di reversibilità, senza dimenticare la pensione minima il cui valore viene fissato in modo meramente politico e andrebbe adeguato rispettando il secondo comma dell’articolo 38 della Costituzione fissando un importo adeguato alle esigenze di vita dignitosa.

In questi anni la Lega ha sempre promesso la cancellazione della riforma Fornero in modo demagogico senza mai modificarla strutturalmente ma aggirandola con le varie Quote che hanno mandato in pensione molte meno persone di quelle annunciate e favorendo le categorie più forti e sfavorendo le donne. Come se ne esce? Ci terremo la riforma Fornero per sempre?

Un elemento che andrebbe recuperato dalla riforma Treu-Dini è la flessibilità dell’età di uscita dal lavoro. Il sistema contributivo consente a ogni lavoratore di decidere quando ritirarsi, valutandolo in totale autonomia rispetto all’assegno che riceverà in base ai contributi versati durante la sua carriera.

La redazione consiglia:
Pensioni post Fornero: il nodo è la flessibilità in uscita

E difatti. Assieme alla pensione contributiva di garanzia per affrontare la bomba sociale delle generazioni dei precari che andranno in pensione con assegni da fame.

Sono richieste legittime e sostenibili finanziariamente. Vedremo se ci sarà la volontà politica di accoglierle.