Pensioni post Fornero: il nodo è la flessibilità in uscita
Dopo i tre tavoli tecnici, rinviato di una settimana il confronto politico governo-sindacati. Toccherà a Draghi tirare le fila verso il Def. L'ipotesi taglio del 3% dell'assegno retributivo
Dopo i tre tavoli tecnici, rinviato di una settimana il confronto politico governo-sindacati. Toccherà a Draghi tirare le fila verso il Def. L'ipotesi taglio del 3% dell'assegno retributivo
Se ne parla poco ma in queste settimane si decide il futuro delle pensioni. Governo e sindacati hanno concluso i tre confronti tecnici e – in attesa delle ultime risposte ai documenti di Cgil, Cisl e Uil – entro metà febbraio dovrebbe tenersi il vertice politico con ministri e segretari generali decidere il da farsi in vista del Documento di economia e finanza di aprile, fissandolo come obiettivo macroeconomico dell’anno e imbastire una legge delega per la riforma.
Nonostante lo slittamento del vertice «politico» di una settimana – il 15 febbraio, e in quella settimana, a seguire, potrebbe poi tenersi l’incontro politico – il clima è costruttivo e la possibilità di cambiare strutturalmente la riforma Fornero è reale.
Gli incontri tecnici si sono tenuti al ministero del Lavoro, tendenzialmente a favore delle richieste sindacali su pensione di garanzia per i precari, riconoscimento del lavoro di cura per le donne e anticipo per i lavori gravosi, rilancio della previdenza complementare. A partecipare però sono stati sempre anche rappresentanti della Ragioneria dello stato – da sempre custode dell’austerità -, del Mef e di palazzo Chigi. Proprio la presa di posizione di Draghi a fine 2021 ha aperto la trattativa e dunque spetterà allo stesso presidente del consiglio tirare le fila.
Se su pensione di garanzia e su un nuovo semestre di silenzio-assenso per rilanciare la previdenza complementare le risposte scritte del governo ai documenti di Cgil, Cisl e Uil sono sostanzialmente positive, il vero nodo è sulla flessibilità in uscita. I sindacati confermano la loro piattaforma unitaria con la richiesta di uscita a partire da 62 anni di età o 41 di contributi senza penalizzazioni. Molto difficile che il governo la accetti sia per ragioni di costi elevati (sebbene una stima precisa non c’è) che di segnale politico nei confronto dei partner europei più rigoristi.
Un punto di caduta potrebbe arrivare su un ricalcolo della sola parte retributiva: una riduzione del 3% per ogni anno di anticipo corrisponderebbe a un taglio di circa il 5% dell’assegno.
«Se il governo pensa di cincischiare sulle pensioni, la Uil non ci sta – avverte Domenico Proietti della Uil – . Il governo riprenda subito il confronto per definire, in vista del prossimo Def, soluzioni positive alle attese dei lavoratori», conclude Proietti.
«Gli incontri tecnici finora sono stati utili ma interlocutori specie sulla flessibilità in uscita – spiega il segretario confederale Cgil Roberto Ghiselli – . Ora serve arrivare a una fase più stringente e a un confronto politico in cui il governo passi dalla disponibilità a fare una riforma a proposte vere. Su cui misureremo il nostro atteggiamento unitario».
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