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Alberto Fujimori, una vita di crimini contro l’umanità

Alberto Fujimori, una vita di crimini contro l’umanitàAlberto Fujimori nel 2018 – Ap

Perù La morte dell'ex dittatore a 86 anni. Condannato a 25 anni di carcere per una minima parte dei massacri di cui si è reso responsabile, un anno fa era stato graziato per ragioni umanitarie

Pubblicato circa 2 mesi faEdizione del 13 settembre 2024

Se ne è andato a 86 anni l’ex dittatore Alberto Fujimori, dopo una vita trascorsa a rendere la terra un posto peggiore. A dare la conferma della sua morte è stata la figlia Keiko, che, dopo aver ricordato la sua lunga battaglia contro il cancro, ha dichiarato, molto ottimisticamente, che suo padre è andato “a incontrare il Signore”, chiedendo di pregare “per il riposo eterno della sua anima”.

Per milioni di peruviani, invece, se un inferno esiste, è lì che non riposerà Fujimori, il quale ha sì potuto trascorrere a piede libero gli ultimi mesi della sua esistenza per la grazia concessagli per motivi umanitari, ma non sarà di certo graziato dalla storia.

El Chino, come veniva chiamato malgrado le sue origini giapponesi – o, assai opportunamente, Chinochet, in riferimento al dittatore cileno – era stato eletto nel 1990, sconfiggendo lo scrittore Mario Vargas Llosa, ma appena due anni dopo aveva realizzato un autogolpe, dissolto il Parlamento e riformato la Costituzione, facendosi rieleggere, attraverso elezioni molto dubbie, nel 1995 e nel 2000, quando era stato destituito in seguito a un procedimento di impeachment. Il giorno precedente era fuggito in Giappone, dimettendosi con una comunicazione inviata via fax, per poi rifugiarsi in Cile, da dove era stato estradato nel 2007.

Dopo aver schedato migliaia di cittadini, comprato la stampa, fatto sparire nel nulla o rinchiuso in carcere centinaia di oppositori politici, il dittatore era caduto grazie alla sua ex-consorte, Susana Higuchi, che era riuscita a mandare in onda una videocassetta in cui si vedeva il capo dei servizi segreti Vladimiro Montesinos – il suo braccio destro o, secondo molti, il suo sinistro burattinaio – corrompere un deputato dell’opposizione. Da allora migliaia di cassette – i cosiddetti vladivídeos, i video di Vladimiro – registrate per anni, di nascosto, da Montesinos per ricattare politici, giudici, deputati, erano saltate fuori trascinando un bel numero di persone nel fango.

Due anni dopo, nel 2009, era arrivata per Fujimori la condanna a 25 anni di prigione per crimini contro l’umanità, essendo stato riconosciuto colpevole delle stragi di La Cantuta e Barrios Altos in cui, tra il 1991 e il 1992, erano morte 25 persone. Ma lunghissima è la lista dei suoi crimini, dalla partecipazione ai sequestri del giornalista Gustavo Gorriti e dell’imprenditore Samuel Dyer, nel 1992, alla sterilizzazione forzata di centinaia di migliaia di donne, in maggioranza native, durante i suoi ultimi quattro anni al potere, fino ai reati di usurpazione di funzioni, malversazione e falso ideologico, corruzione e spionaggio.

Il suo nome, però, resterà per sempre legato anche al massacro nella residenza dell’ambasciatore del Giappone in Perù, occupata nel 1997 da 14 guerriglieri del Movimiento Revolucionario Túpac Amaru, i quali chiedevano la liberazione di 400 loro compagni detenuti in condizioni disumane nelle carceri peruviane. Tra questi anche l’ideologo dell’organizzazione Víctor Polay Campos, condannato all’ergastolo in un rettangolo di cemento armato di tre metri per due, otto metri sotto terra, senza luce artificiale, nel carcere di El Callao, costruito con lo scopo di annientare fisicamente, psichicamente e moralmente i prigionieri che avevano la sventura di capitarvi.

Benché, come segno di buona volontà nella conduzione delle trattative, fossero stati già liberati 605 ostaggi – tutti trattati con estremo riguardo, tanto che una cinquantina di loro avrebbe persino chiesto l’autografo al comandante Nestor Cerpa Cartolini -, il 22 aprile 1997 un commando di 800 militari aveva fatto irruzione nella residenza assassinando brutalmente i giovanissimi ribelli, quasi tutti non ancora ventenni, mentre erano impegnati nella loro consueta partita di calcetto, più un ostaggio, il magistrato Carlos Giusti, guarda caso un oppositore di Fujimori.

Nessuno dei tanti crimini dell’ex dittatore aveva però impedito alla Corte costituzionale, il 6 dicembre del 2023, di ordinare la sua scarcerazione per motivi umanitari – malgrado il parere contrario della Corte interamericana dei diritti umani -, ripristinando la grazia che l’ex presidente Pedro Pablo Kuczynski gli aveva concesso già nel 2017 e che poi era stata revocata dalla Corte suprema dieci mesi dopo.

Tornato in libertà, Fujimori non aveva fatto nulla per farsi dimenticare. Al contrario, a 85 anni, malato di cancro e con cinque condanne a suo carico, aveva annunciato di voler intraprendere un’altra corsa presidenziale: “Voglio lavorare ancora per tutti i peruviani”.

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