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Al via i colloqui di Gedda ma la tregua in Sudan resta un miraggio

Al via i colloqui di Gedda ma la tregua in Sudan resta un miraggio

Guerra civile L’obiettivo dei negoziati è portare l’Esercito agli ordini di Abdel Fattah El Burhan e le Forze paramilitari di supporto rapido (Rsf) di Mohammed Hassan Dagalo, a un cessate il fuoco duraturo e all'apertura di corridoi umanitari.

Pubblicato più di un anno faEdizione del 7 maggio 2023

Le parti in guerra nel Sudan si sono incontrate ieri a Gedda per colloqui preliminari, sotto la pressione di Usa e Arabia saudita, e anche della Lega degli Stati arabi, dell’Onu e dell’Unione africana, che premono per porre fine a un conflitto che ha ucciso almeno 550 persone e ferito quasi 5 mila e costretto decine di migliaia di civili a scappare via. L’obiettivo dei negoziati, nelle speranze dei mediatori, è portare subito l’Esercito sudanese agli ordini di Abdel Fattah El Burhan e le Forze paramilitari di supporto rapido (Rsf) di Mohammed Hassan Dagalo, a un cessate il fuoco duraturo e all’apertura di corridoi umanitari.

I colloqui per ora non affrontano le cause profonde del conflitto che sono ben più complesse della mancata inclusione delle Rsf nell’Esercito regolare come era stato pattuito. Anche per questo, da quando il conflitto è scoppiato a metà aprile, le tregue non sono mai state rispettate. Però Gedda è un inizio. I colloqui in terra saudita sono il primo serio tentativo di porre fine ai combattimenti che hanno gettato nella disperazione milioni di civili. Soddisfazione hanno espresso anche le Forze sudanesi per la libertà e il cambiamento, il gruppo politico che porta avanti il piano sostenuto a livello internazionale per trasferire il controllo del Sudan a un governo civile.

Dagalo, noto anche come Hemedti, continua a mostrarsi dialogante. Afferma di sperare che «le discussioni    raggiungano gli obiettivi prefissati». E altrettanto fa Al Burhan che, con un comunicato delle Forze armate, fa sapere che il fine è «creare condizioni adeguate ad affrontare gli aspetti umanitari». Ma entrambi sino ad oggi non hanno fatto nulla di concreto per fermare gli scontri a fuoco e i bombardamenti. Spari ed esplosioni continuano ad echeggiare nella capitale Khartum e in altre località del Sudan, così come proseguono i raid aerei governativi sulle basi delle Rsf mentre restano senza protezione le infrastrutture civili, compresi ospedali ed ambulatori, ormai al collasso. Le Nazioni Unite hanno dovuto ridurre le operazioni nel paese dopo che tre dei suoi dipendenti sono stati uccisi e i suoi magazzini sono stati saccheggiati.

L’Oms ha fatto arrivare 30 tonnellate di forniture mediche a Port Sudan in aereo, una delle prime spedizioni di questo tipo dall’inizio dei combattimenti. Anche il Qatar ha effettuato un volo di soccorso a Port Sudan trasportando circa 40 tonnellate di cibo. Ma non basta. L’agenzia dell’Onu per i rifugiati ha stimato che il numero di sudanesi in fuga verso i paesi vicini raggiungerà gli 860.000 e le agenzie umanitarie avranno bisogno di 445 milioni di dollari per assisterli. La Turchia fa sapere che trasferirà la propria ambasciata a Port Sudan dopo che il veicolo sul quale viaggiava l’ambasciatore Ismail Cobanoglu, è stato colpito da raffiche di mitra.

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