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Al Sisi: «Complotto Regeni contro Egitto e Italia». Alfano plaude

Al Sisi: «Complotto Regeni contro Egitto e Italia». Alfano plaudeDurante una protesta al Cairo nell’aprile 2016 i manifestanti mostrano il volto di Giulio Regeni

Il Cairo/Roma Il presidente egiziano ringrazia Renzi per il sostegno al regime. La Farnesina: «È interlocutore appassionato». Intanto, confermati i 5 anni di condanna per il leader di Tahrir Alaa Abdel Fattah Nubiani arrestati «per proteste»

Pubblicato circa 7 anni faEdizione del 10 novembre 2017

Sono più gravi le dichiarazioni del presidente al Sisi dal palco del World Youth Forum di Sharm el Sheikh o le reazioni del ministro degli esteri Alfano? Scelta difficile, ma viene da dire le seconde.

Mercoledì il generale golpista è tornato a parlare di Giulio Regeni di fronte a giovani da tutto il mondo, ospiti della piattaforma sponsorizzata dal Cairo (nell’idea, come raccontavamo su queste pagine il 2 novembre, di «dare voce ai giovani», purché non contestino).

Lo ha fatto tirando fuori la stessa narrativa di un anno e mezzo fa: la barbara uccisione di Giulio serviva a non meglio precisati nemici del regime per vanificare gli investimenti italiani in Egitto.

«Desideriamo scoprire i colpevoli e stiamo agendo in maniera molto trasparente con le autorità italiane – ha detto – (…) Pensiamo ci sia stato un tentativo, durante la visita di uomini d’affari e imprenditori italiani (la missione guidata dall’ex ministra allo sviluppo economica Guidi, proprio il giorno del ritrovamento del corpo martoriato di Regeni, ndr) pronti a compiere investimenti, di distruggere quell’iniziativa».

E, aggiunge, i «complottisti» ci sarebbero riusciti. Sbagliato: gli investimenti italiani in Egitto non si sono mai fermati, a partire dai mega progetti di Eni nel giacimento off shore di Zohr, quelli di Edison nei bacini di Abu Qir, West Waidi El Rayan e Rosetta, la vendita di armi (2.450 chili ad aprile 2016, un milione di euro), 2,5 miliardi in appalti ad aziende italiane e un interscambio totale aumentato del 30% nel primo semestre di quest’anno.

Il presidente al Sisi mercoledì al World Youth Forum di Sharm el Sheikh (Foto LaPresse)
Il presidente al Sisi mercoledì al World Youth Forum di Sharm el Sheikh (Foto LaPresse)

 

Il business continua ancora oggi, con buona pace dei «complottisti» di cui sopra: il nuovo ambasciatore al Cairo, Giampaolo Cantini, fa la spola da settimane da un ministero egiziano all’altro per portare a casa nuovi accordi commerciali. Ieri era in visita al ministero dell’agricoltura per esaminare nuove potenziali collaborazioni in campo agricolo.

È in tale contesto che vanno lette le dichiarazioni che ieri il ministro degli Esteri Alfano ha rilasciato in reazione a quelle di al Sisi: «Siamo convinti che il presidente al Sisi sia un interlocutore appassionato alla ricerca di questa verità. Abbiamo scelto di riprendere un certo livello di rapporti perché crediamo che la cooperazione con l’Egitto sia indispensabile perché la morte di Regeni non potrà restare impunita».

Il trionfo di una real politik molto dolorosa. Perché va di pari passo con i tentativi di sviare le attenzioni su Cambridge, mentre Roma non ha mai rotto i rapporti con un regime liberticida e repressivo. E perché nega, a monte, la responsabilità politica della morte di Giulio. Al netto dei carnefici materiali, è in alto che si deve salire, ai vertici di una macchina repressiva tentacolare e paranoica che continua a operare indisturbata.

Gli ultimi esempi sono di questi giorni, storie simili a quelle di altre migliaia di cittadini egiziani. Mercoledì la Corte di Cassazione ha confermato la condanna a cinque anni per uno dei leader di piazza Tahrir, il blogger e attivista politico Alaa Abdel Fattah, colpevole di aver protestato.

L’unica concessione è che gli anni che restano – la prima sentenza è stata comminata nel febbraio 2015 – li trascorrerà in un carcere comune e non di massima sicurezza. Quindi, spiega il suo avvocato, Mokhtar Mounir, non andrà ai lavori forzati.

Poche ore prima manifestanti nubiani venivano arrestati per aver protestato per la morte in custodia di Gamal Sorour, prigioniero in coma diabetico dopo aver iniziato con altre centinaia di detenuti uno sciopero della fame dietro le sbarre. «I manifestanti hanno bloccato la superstrada e la ferrovia tra Il Cairo e Aswan – racconta l’attivista nubiano Abdel Dayem Ezz Eddin all’agenzia indipendente Mada Masr – Sono scoppiati scontri con la polizia. Alcuni di loro, tra i 7 e i 13, sono stati arrestati».

Sono ora nel centro di detenzione di Shallal, con i 24 nubiani detenuti a settembre per aver partecipato alla tradizionale marcia che ricorda l’espulsione del loro popolo dalle terre di Aswan, negli anni ’60

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