Vogliamo contrastare il cambiamento climatico e abitare su un pianeta più pulito? Dobbiamo mangiare ostriche al posto della carne. Potrebbe sembrare l’ultima trovata di qualche ambientalista snob alla ricerca di una valida alternativa agli insetti, ormai sdoganati come cibo del futuro.

Invece a dirlo è una ricerca pubblicata su Communications Earth & Environment lo scorso settembre nel quale un pool di scienziati afferma che «i frutti di mare sono più nutrienti e comportano minori emissioni rispetto alle fonti proteiche provenienti da animali terrestri».

NELLO SPECIFICO, I RICERCATORI della Dalhousie University, in Canada e del Research Institutes of Sweden di Goteborg, in Svezia, hanno esaminato la qualità dei nutrienti e l’impronta di carbonio nei frutti di mare in natura e da allevamento. «La performance media globale di tutti i frutti di mare valutati – si legge nello studio – ha una densità di nutrienti superiore a quella della carne bovina, suina e di pollo e minori emissioni di gas serra rispetto alla carne bovina e suina». In conclusione, la ricerca dal titolo Assessing seafood nutritional diversity together with climate impacts informs more comprehensive dietary advice suggerisce che «è possibile ottenere una sostanziale riduzione delle emissioni variando le fonti proteiche e ottenendo contemporaneamente benefici nutrizionali».

QUESTI PRODOTTI DA ACQUACOLTURA svolgono infatti un ruolo cruciale nel raggiungimento degli obiettivi di nutrizione, poiché forniscono notevoli quantità di proteine, acidi grassi e micronutrienti come vitamina D, vitamina B12, selenio, iodio, ferro, zinco e fosforo. Sono anche importanti nella prevenzione di numerose malattie e nella lotta alle diffuse carenze di micronutrienti, ragioni per cui molti governi ne raccomandano il consumo nelle diete e nei programmi alimentari.

I CONSUMATORI SEMBRANO RISPONDERE con entusiasmo visto che oggi, globalmente, vengono prodotti e consumati più frutti di mare che mai e la domanda mondiale continua a crescere. Nel 2017, i frutti di mare rappresentavano il 17% dell’assunzione globale di proteine animali. E l’Italia è ben posizionata in questa classifica, in particolar per il consumo di ostriche, dato che siamo al secondo posto in Europa dopo la Francia. Tuttavia, dal punto di vista sanitario i molluschi bivalvi sono considerati alimenti rischiosi in quanto, essendo organismi che filtrano, sono anche bioaccomulatori di patogeni e sostanze tossiche. Inoltre, le modalità di consumo e di preparazione fanno sì che questi alimenti possano essere una fonte di contagio virale batterica e parassitaria.

E’ MOLTO IMPORTANTE DUNQUE la garanzia che i frutti di mare siano prodotti secondo criteri di sostenibilità ma anche di tutela della salute umana e che abbiano una certificazione che tenga conto di entrambi i fattori. Tra i marchi che spiccano troviamo senz’altro quello di Friend of the Sea, un progetto della World Sustainability Organization fondato nel 2008, e diventato, lo standard di certificazione leader per prodotti e servizi che rispettano e proteggono l’ambiente marino, in considerazione del rigore e dell’indipendenza degli audit che verificano gli standard ambientali e sociali.

SI TRATTA DELL’UNICO PROGRAMMA di certificazione della pesca e dell’acquacoltura sostenibili riconosciuto e supervisionato a livello globale dalle Agenzie nazionali di accreditamento europee. Il progetto ha recentemente accolto nella sua giovane famiglia la Dibba Bay Oyster Farm, prima azienda agricola del Medio Oriente a coltivare ostriche gourmet. La novità riguarda proprio la geografia dell’azienda. Tradizionalmente, infatti, le ostriche vengono coltivate nelle acque più fredde dell’Europa, del Nord America o della Cina orientale. Sono questi infatti i maggiori produttori mondiali dell’ apprezzatissimo mollusco. Dibba Bay è invece situata a Dibba, appunto, sulla costa orientale degli Emirati Arabi Uniti e, dal 2016, produce oltre 300 mila ostriche al mese grazie alle correnti calde, incontaminate e ricche di nutrienti che bagnano la costa di Fujairah.

LA SUA SFIDA E’ STATA SIN DALL’INIZIO quella di introdurre nelle acque emiratine le ostriche a coppa del Pacifico, originarie del Giappone. La procedura è questa: Dibba Bay acquista ostriche da incubatoi di tutto il mondo, le semina in un vivaio di ostriche e le mette in lanterne prima di calarle in acqua. Le ostriche crescono senza mangimi o sostanze chimiche, affidandosi all’ambiente naturale ricco di fitoplancton. «La nostra missione come allevamento di ostriche è sempre stata quella di proteggere gli oceani e di adottare pratiche sostenibili per salvaguardare l’integrità della vita acquatica», ha detto Ramie Murray, fondatore e amministratore delegato di Dibba Bay. Inoltre l’allevamento è anche impegnato in progetti volti a sostenere gli sforzi di conservazione, come quello di ricreare gli ecosistemi della barriera corallina utilizzando i gusci delle ostriche per fornire un nuovo habitat alle specie marine.

PER TUTTI QUESTI MOTIVI L’AZIENDA ha ottenuto, nel luglio scorso, la certificazione Friend of the Sea Sustainable Aquaculture. «Siamo orgogliosi – ha detto ancora Murray – di essere riconosciuti da Friend of the Sea per le nostre pratiche di allevamento sostenibili. Per noi è importante che ci sia una terza parte accreditata che certifichi il nostro lavoro». La certificazione riguarda anche la tracciabilità delle operazioni di confezionamento e di esportazione di Dibba Bay, dato che il 50% della produzione dell’azienda viene esportata a Hong Kong, Maldive, Mauritius, Seychelles, Oman e altre destinazioni. I criteri della certificazione Friend of the Sea per l’acquacoltura sostenibile includono l’assenza di impatto sugli habitat critici, il rispetto dei parametri di qualità dell’acqua, l’assenza di antivegetative dannose o di ormoni della crescita, il rispetto della qualità dell’acqua, la responsabilità sociale e il miglioramento continuo della gestione dei rifiuti e dell’energia.