Un miliardo di dollari di armi, tecnologie a duplice uso (civile e militare), attrezzature e materie prime per produrle, ottenute dalla giunta birmana a partire dal golpe avvenuto 27 mesi fa. A fornirle soprattutto aziende con sede legale in Russia, Cina e Singapore. In totale ben 12.500 acquisti unici e spedizioni, che «riportano spesso come destinatario (…) il Direttorato degli appalti del comandante in capo delle forze armate o la Direzione della difesa».

A RICOSTRUIRLE, l’ultimo rapporto del relatore speciale delle Nazioni unite sui diritti umani in Myanmar, lo statunitense Tom Andrews. Alcune di queste «prove» erano già state denunciate a più riprese da questo quotidiano. Al primo posto c’è la Russia: «Dal colpo di Stato, entità all’interno della Federazione, comprese quelle di proprietà statale, hanno inviato all’esercito e a noti trafficanti birmani almeno 406 milioni di dollari di armi, materie prime e forniture affini».

La redazione consiglia:
Armi al Myanmar, l’Italia fa triangolo

Sedici dei 28 fornitori individuati «sono già stati sanzionati da alcuni Stati membri in relazione all’aggressione russa contro l’Ucraina». Ma, evidenzia il rapporto, «oltre la metà delle armi individuate come esportate (…) direttamente all’esercito del Myanmar», per «almeno 227 milioni di dollari», provengono dalla «Rosoboronexport». Che si auto-descrive come «l’unico intermediario controllato dallo Stato russo nel campo delle esportazioni e importazioni di un’intera gamma di prodotti, tecnologie e servizi militari, anche a duplice scopo».

La Rosoboronexport ha fornito ad esempio «aerei da combattimento SU-30, sistemi di lancio di razzi, così come materiali per i caccia MiG-29». Altre società russe, tra le altre cose, jet da combattimento e addestramento Yak-130, elicotteri Mi-2, Mi-17, Mi-24 e Mi-35M, droni da ricognizione e attacco leggero Schiebel S100.

TALI SISTEMI d’arma, denuncia il relatore speciale Onu, «sono stati utilizzati per commettere in Myanmar probabili crimini di guerra e contro l’umanità». Del resto l’esercito birmano, che «fa molto affidamento su aerei fabbricati all’estero, principalmente in Russia (…) ha intensificato l’uso della forza aerea per prendere di mira gruppi di opposizione e popolazione civile», bombardando città e villaggi. L’Armed Conflict Location & Event Data Project ha registrato 312 attacchi aerei nel 2022, rispetto ai 90 dell’anno precedente.

La redazione consiglia:
Nella crisi in Myanmar spunta una pallottola italiana

Al secondo posto c’è la Cina: «41 fornitori unici (…) tra cui di Hong Kong (…) per almeno 267 milioni di dollari». Nella lista velivoli da combattimento, missili e relative munizioni. «Il trasferimento dei caccia FTC-2000G nel dicembre 2022 aumenta le probabilità di ulteriori attacchi aerei contro i civili», visto che possono «accogliere un’ampia gamma di munizioni inclusi missili, razzi e bombe». Al terzo posto Singapore, con «254 milioni di dollari di armi e beni correlati inviati (…) tramite 138 fornitori unici», a partire dalle importanti e già note fabbriche KaPaSa.

Quest’isola città-Stato è «diventata dopo il colpo di Stato una giurisdizione importante per l’approvvigionamento da parte dei militari birmani», con «centinaia di milioni di dollari» che finiscono nelle sue banche. Anche se spesso è soltanto «un punto di transito (…) per prodotti di terze parti».

Gli altri Paesi a seguire sono l’India (51,3 milioni di dollari e 22 fornitori) e la Thailandia (27,7 milioni e 25 realtà coinvolte). Per il relatore speciale Onu, gli Stati membri delle Nazioni unite coinvolti «hanno consentito questi trasferimenti attraverso la totale complicità o per una negligenza nell’applicazione delle sanzioni e dei divieti di fornire armi e tecnologia dual use al Myanmar». Giungendo alla conclusione che le azioni «per fare pressione sulla giunta militare, tra cui l’imposizione di sanzioni economiche, stanno fallendo».