Il progetto di sanità pubblica nato nel 78 è andato storto è inutile negarlo. Risparmiamoci le ipocrisie. Siamo al capolinea. Davanti a questo fallimento ci dobbiamo prendere la responsabilità di un giudizio politico su ciò che abbiamo fatto. Diversamente non sapremmo dove mettere le mani per cambiare.
Tutte le più grandi criticità della sanità nascono da scelte politiche sbagliate e da limiti culturali, da incapacità prima ancora che da difficoltà, anche se tanto la politica che il mondo della sanità non sono disposte ad ammetterlo. “Sanità pubblica addio. Il cinismo delle incapacità” (Castelvecchi 2023) è un libro che toccava a me scrivere, sperando, prima della débacle, di riuscire a tirare ancora qualche calcio. Cioè ad aprire per lo meno una discussione. Ma riusciamo a capire, almeno noi di sinistra, cosa è andato veramente storto? Cosa non ha funzionato nel nostro progetto politico?

Abbiamo copiato la nostra riforma da quella fatta dagli inglesi ormai 70 anni fa (5 luglio 1948) perché ci sembrava la più adeguata al nostro art. 32 della Costituzione. Ma copiare è un conto riformare è un’altra cosa. Alla fine le difficoltà erano così tante che abbiamo concepito una mezza riforma ovvero quella degli ordinamenti ma non quella delle prassi, dei modi di essere e di fare. Il motore del riformismo della sinistra a un certo punto sembrava come imballato.
Il diritto alla salute è un meta-valore cioè un diritto che senza riforme non può essere attuato. Diritto alla salute, cambiamento e riforme sono la stessa cosa. E purtroppo la storia ci dice che anziché riformare per realizzare il nostro sogno costituzionale abbiamo controriformato il sogno. Così abbiamo tradito il grande progetto politico di emancipazione dell’uomo e della persona che tanto l’art. 32 che il Servizio sanitario nazionale rappresentavano. Facendo diventare un diritto fondamentale un diritto potestativo, cioè un diritto relativo, dipendente soprattutto dalle condizioni del momento e della fase. In pratica trasformandolo in un diritto condizionato e limitato. Non più dettato dai bisogni del cittadino ma del tutto dipendente dalle aziende, dal Pil, dai tagli, quindi delle scelte burocratiche in capo agli amministratori, soprattutto, dobbiamo dircelo, delle “regioni rosse”.

Alla fine, a corto di idee e di soldi, abbiamo spalancato le porte alle teorie neoliberiste, al mercato, e in pochi anni ci siamo rimangiati la nazionalizzazione della sanità pubblica. Oggi la sanità italiana è il più calzante esempio di privatocrazia. Lo Stato di fatto ha rinunciato ad amministrare direttamente la salute dei cittadini e laddove amministra, come nei servizi pubblici, lo fa nel peggiore dei modi cioè senza garantire loro i mezzi sufficienti.
In mancanza di un pensiero forte, abdicando a mezze riforme, abbiamo rinunciato a fare i conti con reali complessità del nostro tempo. Per esempio, pensando di poter riformare la sanità senza riformare la medicina, proprio mentre dalla società maturava la consapevolezza e saliva la richiesta di cambiare paradigma, quando al mondo della sanità si chiedeva di passare dalla malattia al malato, quando cresceva la spinta verso un cambiamento nel modo di curare le persone.
Ma alla fine il più grande, profondo tradimento è consistito nel sostituire i nostri ideali di sinistra quindi la nostra weltanshauung fondata sulla uguaglianza e sulla giustizia, con una sorta di ideologia promiscua, un po’ economicista, un po’ neoliberista e anche un po’ scientista. Ma i diritti con il cinismo non vanno lontano.

Questo procedere a poderosi passi di gambero ha giustificato ogni obbrobrio. Ci siamo dimenticati della salute primaria, abbiamo accettato le logiche aziendali, cioè qualcosa che anziché preoccuparsi di curare al meglio si preoccupava di fare risparmio. Di conseguenza, abbiamo accettato la “seconda gamba” sostituendo la solidarietà con la sussidiarietà, privatizzando l’anima pubblica del sistema, fino a ingoiare la de-capitalizzazione del lavoro professionale, fino a fare della sostenibilità l’unico parametro.
Con un governo di destra sopra la testa, che in sanità fa più o meno quello che ha sempre fatto la sinistra, sarebbe ben strano che la sanità non fosse ormai giunta al capolinea. Non abbiamo più un orizzonte riformatore ma vogliamo provare a capire come si va avanti?