Aiutiamo l’Ucraina rinunciando a un beneficio
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Aiutiamo l’Ucraina rinunciando a un beneficio

A man walks past the remains of Russian military vehicles in Bucha, close to the capital Kyiv, Ukraine, Tuesday, March 1, 2022. Russia on Tuesday stepped up shelling of Kharkiv, Ukraine's second-largest city, pounding civilian targets there. Casualties mounted and reports emerged that more than 70 Ukrainian soldiers were killed after Russian artillery recently hit a military base in Okhtyrka, a city between Kharkiv and Kyiv, the capital. (AP Photo/Serhii Nuzhnenko)

L'embargo del gas La scena di Bucha, un sobborgo periferico, quasi rurale, della grande città di Kiev interroga in modo perentorio la coscienza di chi deve assistere da lontano ai delitti innominabili del nuovo imperialismo asiatico

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 6 aprile 2022

Non era necessario assistere agli effetti del massacro di Bucha per sentirsi obbligati a un atto di presenza civile. Bastava Mariupol, una bella città portuale rasa al suolo con i suoi abitanti costretti per più di un mese nel chiuso delle cantine, al freddo senza cibo, acqua, medicine. E con i corridoi umanitari aperti per finta e richiusi dalla mitraglia sugli autobus della salvezza, obbligati cento volte a tornare indietro o a prendere la via della Russia.

Ma la scena di Bucha, un sobborgo periferico, quasi rurale, della grande città di Kiev (gloriosa nella letteratura e nella musica russa) interroga in modo perentorio la coscienza di chi deve assistere da lontano ai delitti innominabili del nuovo imperialismo asiatico. Corpi disseminati, immobili ai lati della strada: vecchi, donne, uomini con le braccia legate dietro la schiena. Le coperte pietose coprono forse qualche bambino. Persone sottoposte a esecuzione sommaria, un colpo in testa e via. Questa è la civiltà di Putin.

Oggi finiscono le incertezze. Tutti coloro che hanno invocato la necessità del negoziato con l’aggressore ma non hanno finora mai suggerito un via per costringerlo, oggi hanno in mano uno strumento. Esplicito, ingenuo, dichiarato: tutti noi italiani (fatta eccezione per chi vive in condizioni disagiate o in malattia) possiamo proclamare di essere pronti a chiudere i nostri riscaldamenti di casa per incoraggiare il governo a sospendere immediatamente l’acquisto del gas russo. Sappiamo bene che il gas è essenziale anche per tutte le attività industriali. Non siamo così irrealisti da pensare che l’attività produttiva possa fermarsi di colpo (come veniva spiegato nell’editoriale di Norma Rangeri, “Tagliamo il gas contro le bombe dell’ipocrisia”).

Ma noi per solidarietà con il popolo ucraino possiamo rinunciare alla comodità di una casa riscaldata. Pensando al freddo di quei poveri corpi ci vergogniamo del caldo superfluo che conforta le nostre comode case. Vogliamo rinunciare a un beneficio che alimenta, con una catena economica inesorabile, la sventura del popolo ucraino. Facciamo a meno del caldo in casa (è davvero poca cosa) per invitare il Parlamento e il Governo italiano a prendere prima possibile la decisione più rigorosa per costringere l’aggressore al negoziato.

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