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Ain Al Hilweh, l’ostilità dei libanesi copre il dramma del campo profughi palestinese

Ain Al Hilweh, l’ostilità dei libanesi copre il dramma del campo profughi palestineseCombattente palestinese ad Ain Al Hilweh – Michele Giorgio

Libano Gli scontri a fuoco degli ultimi giorni che hanno fatto 11 morti e decine di feriti hanno ridato fiato alla diffidenza dei libanesi nei confronti di profughi che vivono in condizioni disumane

Pubblicato circa un anno faEdizione del 2 agosto 2023

Abu Ahmad ieri raccontava ai giornalisti locali la storia della sua piccola pasticceria a Sidone. Il suo sostentamento, spiegava, dipende da ciò che accade dietro il muro che lo separa dal campo profughi palestinesi di Ain Al-Hilweh (80 mila abitanti, 93% sono poveri). «Ogni proiettile sparato dall’altra parte, ogni esplosione (nel campo) tengono i clienti a distanza dal mio negozio. Delle volte ci vogliono giorni prima che tutto torni alla normalità e possa tornare a guadagnare qualcosa». Non solo la pasticceria, si è fermato tutto intorno ad Ain al Hilweh durante gli scontri a fuoco nelle stradine strette e colme di rifiuti tra i quartieri di al Safsaf e al Baraksat, avvenuti tra gruppi jihadisti e gli uomini di Fatah – con 11 morti e decine di feriti – dopo l’omicidio di Abu Ashraf Al Armoushi, uno dei capi locali di Fatah. Proiettili vaganti hanno raggiunto zone distanti di Sidone, ferendo una donna incinta.

Sparatorie, andate avanti sporadicamente, nonostante il cessate il fuoco annunciato lunedì notte e la mediazione avviata dal Comitato congiunto di azione palestinese e i movimenti sciiti Amal e Hezbollah – anche Hassan Nasrallah, il segretario generale di Hezbollah, ha chiesto ai palestinesi di far tacere subito le armi – che hanno ridato fiato ai sentimenti antipalestinesi che non hanno mai abbandonato la popolazione libanese nonostante siano passati oltre trent’anni dalla fine della guerra che vide protagonista anche la resistenza palestinese. Ad alimentarli sono spesso i libanesi più ricchi, gli uomini politici, che dalle loro zone residenziali neanche vedono i campi palestinesi e il degrado dei quartieri intorno ad essi dove vivono i libanesi resi più poveri dalla crisi economica che strangola il paese. Come Sami Gemayel, il leader falangista, che ha puntato il dito contro Hezbollah che consentirebbe alle fazioni palestinesi di mantenere le armi per ragioni di sicurezza nei campi, anche se a permetterlo in realtà è un accordo del 1969. Altri, sempre a destra dello schieramento politico, parlano di «armi che sono puntate contro il Libano e la sua sicurezza» e che vanno confiscate subito ai palestinesi, così come andrebbero chiusi gli arsenali di Hezbollah.

Pochi hanno rivolto il pensiero alle circa 300 famiglie sfollate a causa dei combattimenti che in gran parte restano nelle scuole dell’Unrwa (Onu) e nelle moschee e che sono sostenute solo da volontari che portano loro cibo e forniture mediche. Due scuole dell’UNRWA hanno subito danni, decine di negozi distrutti, due edifici sono stati divorati dalle fiamme. Tra gli sfollati anche gli abitanti, quasi tutti libanesi, di via al Tameer vicino all’ingresso del campo. Scontri armati tra l’Olp e fazioni islamiste sono avvenuti spesso dopo il 2011 e l’inizio delle rivolte arabe ma non avevano mai visto tale violenza e causato così tanti morti.

L’atmosfera ad Ain Al Hilweh in queste ore è cupa, tutti gli abitanti maledicono le fazioni armate, molti puntano il dito contro l’Autorità nazionale palestinese (Anp) e contro Hamas che starebbe giocando le sue carte, alimentando lo scontro tra islamisti e Fatah, per strappare il controllo del campo all’Anp. Per tanti non è un caso che gli scontri a fuoco siano cominciati pochi giorni dopo l’arrivo ad Ain Al Hilweh di Majd Faraj, il capo dell’intelligence palestinese nei Territori occupati, che starebbe provando a contenere l’influenza di Hamas che in Libano ha alcuni dei suoi leader. Ieri sera gli scontri non erano ancora cessati e si prevede che andranno avanti ancora per giorni.

 

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