Aigues-Mortes, una strage razzista
Era un agosto caldo e di fatica. Soffiava il vento della xenofobia, i politici alzavano il tiro e le fake news erano il pane quotidiano. Francia, Camargue, 1893. Gli straccioni, i ladri di lavoro e potenzialmente delinquenti non avevano attraversato il mare, ma valicato i monti. Gli emigranti erano italiani, piemontesi e toscani soprattutto, impiegati a cottimo per raccogliere il sale.
La tensione si tagliava col coltello. Fu una falsa voce, che si sparse rapidamente, a farla esplodere il 17 agosto: in una rissa, dissero, hanno ammazzato quattro francesi, i responsabili sono es italienes. Partì la vendetta. Fu un massacro. Morirono dieci operai italiani: i torinesi Vittorio Caffaro, 29 anni di Pinerolo, e Bartolomeo Calori, 26 anni di Torino; i cuneesi Giovanni Bonetto, 31 anni di Frassino, e Giuseppe Merlo, 29 anni di Centallo; l’alessandrino Carlo Tasso, 58 anni di Cerrina; l’astigiano Secondo Torchio, 24 anni di Tigliole; il savonese Lorenzo Rolando, 31 anni di Altare; il bergamasco Paolo Zanetti, 29 anni di Alzano Lombardo; il toscano Amaddio Caponi, 35 anni di San Miniato. Sconosciuta l’identità del decimo. Un centinaio i feriti.
Una strage poco conosciuta, spesso negata. Centoventicinque anni dopo, la Francia, o meglio il comune di Aigues-Mortes, la ricorda. Sulla facciata del municipio verrà apposta una targa: «In memoria dei 10 operai italiani vittime della xenofobia durante gli eventi del 17 agosto 1893. In omaggio ai giusti: Jacques Eugène Mauger (abate), Adélaide Fontaine (panettiera), madame Goulay. E ai cittadini di Aigues-Mortes che diedero prova di coraggio e d’umanità».
Venticinque anni fa è stato uno storico italiano a levare il velo di ipocrisia attorno alla tragedia: Enzo Barnabà, siciliano di nascita e ventimigliese d’adozione, francesista, autore di Morte agli italiani! Il massacro di Aigues-Mortes 1893.
Professor Barnabà, finalmente, dopo 125 anni, una lapide ad Aigues-Mortes ricorderà il massacro di dieci italiani ferocemente uccisi. Perché c’è voluto così tanto?
Ad Aigues-Mortes, per decenni, il negazionismo e le ricostruzioni di comodo l’hanno fatta da padroni. Un vecchio signore mi raccontava che quando era piccolo i genitori ne parlavano a bassa voce per non far sentire i bambini. Nel 1993, quando è uscita l’edizione francese del mio libro, si è fatto in modo che non venisse messo in vendita nei negozi cittadini per non turbare le frotte di turisti (molti dei quali italiani) che percorrevano allegramente le strade dell’orribile eccidio.
Il ricco dossier che mi ha permesso di ricostruire i fatti era sparito dall’Archivio provinciale. Gli armadi in cui vengono rinchiusi gli scheletri, però, finiscono per essere aperti dagli storici e dagli scrittori. Prima c’è stato il mio Sang des Marais, successivamente il romanzo catartico di Christian Liger, La Nuit de Faraman, e poi il saggio di Noiriel. Il sindaco Pierre Mauméjan, pur essendo di destra, ha deliberato la posa della lapide che sarà effettuata il 17 agosto in pieno centro cittadino. Un atto dovuto, ma coraggioso: Aigues-Mortes è una città in cui xenofobia ed estrema destra imperversano ancora.
Può ricostruire quanto accadde nel 1893?
Il sale era la principale risorsa della città. Durante la raccolta, che avveniva nella seconda metà di agosto e durava un paio di settimane, occorreva mano d’opera che venisse da fuori. Tradizionalmente gli stagionali erano contadini delle non lontane montagne delle Cévennes.
Da quando la città era stata collegata alla rete ferroviaria nazionale, la produzione era però aumentata molto, e si fece appello a squadre provenienti in particolare dal Pisano e dal Piemonte. Si lavorava a cottimo. I ritmi erano insopportabili, ci si doveva «drogare» bevendo vino. La malaria infieriva e non c’era acqua per liberare la pelle dal sale. Un lavoro da bagno penale, come recitava un canto operaio. Mancavano i sindacati, gli italiani divennero i capri espiatori di un disagio più generale.
Si sparse la voce (falsa) che durante una rissa gli italiani avessero ucciso quattro francesi e si mise in moto la vendetta. Centinaia di transalpini, armati di forconi, bastoni, pietre e anche di fucili, per un’intera giornata presero a dare la caccia all’italiano. Bilancio: dieci morti e un centinaio di feriti.
Perché in quei giorni in Francia si respirava un clima di odio? Ci fu l’intervento della polizia per fermare le violenze o si chiuse un occhio?
Si era in piena campagna elettorale. I partiti xenofobi non le mandavano a dire. Il candidato Maurice Barrès, per esempio, agitava un pamphlet intitolato Contre les Étrangers. Cesare Lombroso parlava di «punture di spillo, ripetute in continuazione da politici ciechi che finiscono per generare odi i quali, benché creati artificialmente, non sono meno potenti degli altri».
Va anche ricordata la rivalità tra i due Paesi: guerra doganale, Triplice Alleanza, Tunisia. I poliziotti fecero il possibile, ma erano troppo pochi. A quei tempi, si utilizzava piuttosto l’esercito. Un reparto di cavalleria venne mobilitato, ma aspettò invano per ore alla stazione di Nîmes l’ordine di partire. Quando giunse ad Aigues-Mortes, era tardi. Le responsabilità furono insabbiate.
Come si svolgeva e chi controllava l’emigrazione italiana?
Come scrisse in quei giorni Critica Sociale, si trattava di «un’alluvione umana lenta e continua». Il neonato Partito Socialista non aveva forze sufficienti per incidere sul fenomeno. Ad Aigues-Mortes, sui circa 500 italiani presenti nelle saline, un centinaio era stabilmente emigrato nella regione di Marsiglia, gli altri venivano reclutati da caporali (bayle in occitano) che rivendevano il loro lavoro alla Compagnia delle Saline.
Gli operai dunque non venivano assunti e la Compagnia non ne conosceva neppure il nome: portavano un cartoncino con scritto un numero e il nome del loro caporale.
Ci furono dei «giusti» tra i francesi?
Sì, le responsabilità sono sempre individuali. Di alcuni conosciamo il nome, come quello del parroco che difese con grande coraggio gli italiani, affermando che un prete non può fare distinzioni di lingua o nazionalità. E la signora Gouley, che morì a causa di un colpo ricevuto nel tentativo di proteggere un italiano. Diversi anonimi diedero riparo a nostri connazionali.
Si svolse un processo su quei fatti ? Come finì la vicenda?
Fu frettoloso e giocato sulla falsa affermazione del «sangue francese versato per primo», oltre che sull’opportunità di non turbare la ritrovata concordia tra le due «sorelle latine». Crispi, dopo aver cavalcato l’ondata nazionalista che in Italia fece seguito alla strage e scalzato Giolitti, una volta al governo si dimostrò molto conciliante. Malgrado la rigorosa arringa del pubblico ministero, la giuria popolare non volle assumersi responsabilità ed emise uno scandaloso verdetto di assoluzione generale. Come scrisse Michelle Perrot, ci si trovava di fronte a cadaveri che commuovevano ben poco l’opinione pubblica.
Perché ha deciso di studiare a fondo questo brutale massacro? Quali fonti ha consultato?
Nel 1976, giovane insegnante, fui nominato al liceo Daudet di Nîmes, il capoluogo del dipartimento. Ricordavo che a scuola un professore aveva accennato al massacro e volli saperne di più.
Nessuno, al liceo, aveva mai sentito parlare della cosa, la Treccani parlava di «400 vittime buttate nel Rodano» (una fake, il fiume non passa da Aigues-Mortes). Le ricerche sono continuate per decenni: gli archivi italiani e francesi hanno un’enorme mole di materiale. Bisogna incrociare le fonti.
All’epoca psicosi e fake news giocarono un ruolo di primo piano, vede analogie con l’attualità italiana?
La stampa di estrema destra presentava gli italiani come delinquenti, accoltellatori, portatori di malattie e di una cultura inferiore. Si accusava il governo di non proteggere i lavoratori e si rivendicava la necessità di difendere l’identità francese.
La contrapposizione «noi/loro» entrò largamente in campo. Si giunse al punto di dipingere i nostri immigrati come una quinta colonna che preparava l’invasione militare. Talvolta, sembra di leggere frasi scritte oggi. Per questo è necessario ricordare gli emigrati di Aigues-Mortes, vittime innocenti della violenza xenofoba.
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