«Ci auguriamo che anche la comunità internazionale e le agenzie umanitarie aiutino la nostra gente in questa terribile situazione”, twittano i Talebani su Internet.

Eh sì, perché si muore anche nei Paesi canaglia, in quelli messi all’indice dalla comunità internazionale. L’Afghanistan è tra questi e dunque gli aiuti internazionali andranno a sottrarre le già risicate risorse arrivate col contagocce in questi mesi. I cinesi si son fatti avanti subito però. Si sono mossi anche europei e Nazioni unite che «stanno valutando».

NATURALMENTE le Ong, per quel che possono, sono in prima linea. L’Emirato si muove e così i mezzi di primo soccorso dell’Onu che, fortunatamente, non ha lasciato il Paese con l’arrivo dei Talebani. Ma la domanda vera riguarda i soldi.

È l’inizio di gennaio quando il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres chiede al mondo 4,4 miliardi di dollari per aiutare il Paese a uscire dalla crisi in cui è precipitato dalla fine della guerra.

Le ragioni sono note: lo stop al finanziamento che copriva oltre due terzi del budget della Repubblica retta da Ashraf Ghani, le sanzioni contro il nuovo regime e il congelamento degli asset della Banca centrale afgana, depositati – circa 9 miliardi di dollari – nelle banche americane ed europee. Il Paese precipita in una crisi che l’inverno peggiora: non si muore più di guerra, adesso si muore d’inedia.

LA BORSA però rimane tirata: di quei 4,4 miliardi richiesti, a maggio 2022 ne sono arrivati solo la metà. E coi tempi della burocrazia: prima si promette, poi si “alloca”, infine (forse) si scuce. E in assenza di un interlocutore politico – visto che nessuno ha riconosciuto il governo talebano – si può far conto solo sull’Onu che non ha chiuso i battenti.

Comunque, ogni appello ai governi del pianeta può solo risultare inascoltato se, come conferma chi tenta di farlo, meccanismi automatici, imposti dalle sanzioni al regime, impediscono di spedire persino cento euro a Kabul o altrove.

Anche in queste ore, il meccanismo perverso che strangola l’Afghanistan da dopo il 15 agosto 2021, quando la capitale capitolò e Asraf Ghani e compagni scapparono con la cassa, continua perversamente a funzionare.

I quattrini per far fronte all’emergenza terremoto verranno inevitabilmente sottratti a quanto le Nazioni unite hanno raggranellato in questi mesi, che si aggiunge alle regalie degli Stati vicini, come Pakistan e Iran, o agli interventi ormai molto ridotti delle Ong.

QUANTO IL SISMA aggravi una crisi già in essere lo si deduce dai numeri: sono 2,6 milioni gli afgani registrati dall’Unhcr (2,2 si trovano divisi tra Iran e Pakistan), il che significa che i fuoriusciti sono un numero assai più elevato in cui, come fantasmi, si agitano i clandestini e gli afgani in viaggio o bloccati lungo le rotte che portano in Europa o nelle foreste bielorusse.

Gli sfollati interni erano circa 3 milioni cui se ne sono aggiunti, solo nel 2021, altri 700mila. Su 35 milioni di afgani, l’Onu valuta che oltre 20 milioni siano in grave necessità alimentare. Quasi la metà di questi sono malnutriti e gli altri denutriti, con ciò che significa specie se si è in tenera età (la malnutrizione compromette anche le capacità cognitive).

A quasi un anno dalla fine della guerra si è fatto molto poco per questo popolo verso il quale vent’anni di occupazione militare dovrebbero quantomeno provocare un senso di responsabilità.

LA PROMESSA di una legazione comune europea è rimasta sulla carta. Ferme le sanzioni e così i fondi, proprietà afgana, ancora congelati nelle banche degli occupanti che sembrano vendicarsi di chi li ha battuti sul piano militare.

I Talebani fanno buon viso a cattivo gioco e dicono che l’economia si sta riprendendo. Si sono invece irrigiditi sui diritti: abbigliamento, libertà di espressione, istruzione femminile (anche se in alcune aree del Paese le ragazze possono andare nei pochi licei aperti).

Nel caso afghano, le sanzioni non solo colpiscono il popolino ma tendono probabilmente a rafforzare l’ala più oltranzista, ortodossa, identitaria rispetto ai pragmatici che invece sarebbero disposti a trattare. Già, ma con chi se non c’è nemmeno un incaricato d’affari cui chiedere un appuntamento?