Le acque dell’Adriatico sfiorano i 30 gradi (dato rilevato dai tecnici Arpa) e continuano a essere ricoperte da una sostanza gelatinosa e sporca, le mucillaggini. «Le condizioni meteoclimatiche di questo inizio estate, unite all’apporto di nutrienti giunti in mare con le piogge di giugno, hanno creato le condizioni ideali per la fioritura di Gonyaulax fragilis, una microalga all’origine del fenomeno della mucillagine»: così Arpa Marche spiega il fenomeno che sta trasformando il mare Adriatico in un caldo lago putrido, iattura per turisti, ma soprattutto per la vita marina. «L’ondata di caldo torrido e la calma di vento hanno fatto sì che in buona parte dell’Adriatico la mucillagine riaffiorasse in superficie formando aggregazioni a macchia di leopardo».

L’eutrofizzazione delle acque, fenomeno noto da decenni nell’Adriatico, ha tra le cause una sovrabbondanza di nutrienti (nitrati e fosfati) che fanno proliferare le alghe ed hanno origine da fertilizzanti, scarichi urbani e industriali, reflui di allevamenti. Tra le mucillagini purtroppo si addensano anche microplastiche e altri rifiuti. Un problema che diventa ancora più grave con il riscaldamento del mare, che limita ulteriormente l’ossigenazione delle acque. Alla foce del fiume Salinello vicino a Giulianova lo scenario è quasi apocalittico, per una grande moria di pesci, molto probabilmente a causa di anossia (mancanza di ossigeno) per il caldo.

L’Area Marina Protetta di Miramare (Trieste) ha lanciato l’allarme: «Filamenti e fiocchi di mucillagini avvolgono molluschi, spugne e ascidie nei fondali e la temperatura sul fondo è assolutamente fuori norma. A quattro metri e mezzo di profondità ha raggiunto i 26 gradi e gli effetti si vedono già: evidenti i segnali di sofferenza su spugne gialle e nere e ascidie, diversi gli organismi in decomposizione con proliferazione di solfobatteri. Sono tutte specie indicatrici degli effetti del cambiamento climatico in quanto sensibili alle variazioni repentine di temperatura».

Ma il problema non è solo nell’Adriatico. Il rapporto «Mare caldo» 2024, frutto della collaborazione tra Greenpeace e Distav (Dipartimento di scienze della terra, dell’ambiente e della vita) dell’Università di Genova, documenta un costante aumento delle temperature marine dal 2019 che sta alterando gli equilibri degli ecosistemi costieri mettendo a repentaglio la biodiversità. «Le gorgonie mostrano sempre più segni di mortalità, sbiancamenti sono stati riscontrati sulle alghe corallinacee incrostanti e sui madreporari mentre si diffondono le specie termofile e quelle aliene provenienti dai tropici, sconvolgendo l’equilibrio dei nostri mari».

Le aree di studio italiane che partecipano al progetto sono 12 di cui 11 appartengono alle aree marine protette (Amp). Lo stato di maggiore sofferenza è stato rilevato nell’area dell’Isola d’Elba, unica non appartenente alle AMP. «I monitoraggi del 2023 confermano gli impatti sempre più evidenti del riscaldamento del pianeta ma ribadiscono l’importanza della conservazione e dell’effetto positivo che le aree marine protette hanno sulla biodiversità», dichiara Giuseppe Ungherese di Greenpeace Italia che chiede una rete di aree marine protette in grado di coprire almeno il 30% dei mari entro il 2030.