Adele Tulli, il senso comune sulle tematiche di genere
Berlinale 69 Parla la regista del documentario «Normal», nella selezione di Panorama Dokumente: «Un film di associazioni che ambisce a raccontare l’ordinario da una prospettiva che lo possa mettere in discussione, o magari sovvertire»
Berlinale 69 Parla la regista del documentario «Normal», nella selezione di Panorama Dokumente: «Un film di associazioni che ambisce a raccontare l’ordinario da una prospettiva che lo possa mettere in discussione, o magari sovvertire»
Corsi prematrimoniali per insegnare alle future spose come rendere duraturo il matrimonio : «Il marito potrebbe anche essere considerato un secondo figlio», suggerisce l’insegnante davanti a una distesa di abiti bianchi – fabbriche dove vengono assemblati ferri da stiro e cucine in miniatura per le bambine, discorsi sulle caratteristiche del «maschio alfa», lampade abbronzanti e concorsi di bellezza dove le miss in costume vengono intervistate sui loro studi. Normal di Adele Tulli, nella selezione di Panorama Dokumente, è una riflessione sui ruoli di genere che procede per libere associazioni, senza seguire il filo di una storia, muovendosi dal Nord al Sud dell’Italia. Prodotto da Istituto Luce e dall’Aamod (Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico) il documentario nasce dal progetto di dottorato della regista – «una riflessione sulle convenzioni di genere attraverso il cinema», spiega – e si interroga proprio su cosa sia la norma, il senso comune intorno alla «normalità» o alla supposta «devianza» da essa. «In Italia – dice Tulli – quando ho cominciato a lavorare al documentario le parole normale, tradizionale, naturale erano molto presenti nel dibattito pubblico, per cui ho voluto indagare la natura di queste norme di genere in cui ci troviamo immersi sin dall’infanzia».
Come ha lavorato a questo progetto?
Ho prima di tutto cercato di servirmi del cinema – le immagini, la colonna sonora, il montaggio – in quanto tale, senza fare ricorso a delle interviste o a una «storia» da seguire. Normal cerca di riprodurre il movimento del pensiero attraverso l’audiovisivo, è un mosaico, un film di associazioni che ambisce a raccontare l’ordinario da una prospettiva che lo possa mettere in discussione, o magari sovvertire. È un film che affronta questi temi in modo libero e fluido, aperto all’interpretazione: l’intento era creare uno spazio di riflessione.
Qual è l’immagine da cui è partita?
Il punto di partenza e l’ispirazione di tutto il lavoro sono i Comizi d’amore di Pasolini, infatti ho fatto tantissimi viaggi dal nord al sud dell’Italia con bla bla car, per avere l’occasione di confrontarmi con degli sconosciuti: delle lunghissime conversazioni – a differenza delle brevi interviste pasoliniane – sulle dinamiche di genere che ho registrato ma poi non ho usato nel film. Ma sono state il motore per costruire l’idea alla base di Normal. Le ricerche dei luoghi e delle situazioni sono state invece casuali, non ho seguito uno schema rigido ma solo una serie di temi di riferimento che potessero riflettere il tema del genere attraverso la crescita, dall’infanzia all’età adulta passando per un rituale fondamentale da questo punto di vista come il matrimonio.
Anche nei suoi film precedenti si è occupata di tematiche di genere.
I miei studi universitari in realtà erano molto diversi, mi occupavo di indologia, ma mi sono sempre interessata anche alle questioni di genere, le lotte Lgbt eccetera. Quindi all’epoca ero anche molto interessata al movimento femminista e gay indiano. E proprio vivendo in India per un periodo ho cominciato a fare cinema: fino al 2009 infatti nel Paese c’era una legge coloniale che criminalizzava l’omosessualità, finché una sentenza storica non l’ha abrogata. Sono stata testimone di un incredibile momento di liberazione, e così ho provato il desiderio spontaneo di documentarlo in quello che poi è diventato il mio primo film: 365 Without 377.
In questo momento in Italia si discute del ddl Pillon. Cosa ne pensa?
Quando ho cominciato la ricerca per il film c’era in Italia un’ondata di movimenti genderfobici che cominciava a prendere piede, ma sembrava comunque l’espressione di una parte minoritaria del cattolicesimo. Ed è molto inquietante vedere invece il panorama di oggi, perché ci si rende conto che questi movimenti che fino a pochi anni fa potevano sembrare una frangia molto estremista e radicale oggi sono in parlamento – i fautori di questa legge.
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