I Puzza di frizione bruciata, macchie d’olio e acqua sull’asfalto, vecchie Lada ferme con il cofano aperto al contrario fumante. La strada che dalla dogana armena nei pressi di Lachin si inerpica fino a Kornidzor è popolata di ogni tipo di rottame. Una lunga notte di viaggio tra i checkpoint azeri ha messo a dura prova i vecchi motori. «Nelle ultime 12 ore» dice un funzionario locale di fronte ai tendoni della Croce Rossa, «sono arrivate 13.500 persone».

SE CONSIDERIAMO che nei due giorni precedenti gli sfollati armeni in fuga dal Nagorno-Karabakh non raggiungevano i 6.000 individui, è facile rendersi conto di quanto il flusso stia aumentando. Ieri mattina la lunga serpentina tra le montagne stipata di macchine ferme dava l’impressione di essere immobile. «Pensavo non finisse mai» racconta Artem, «facevamo due metri e poi fermi, altri due metri e fermi di nuovo, mi sono addormentato non so quante volte, ho anche sognato». Incubi? «No, facevo bei sogni, immaginavo di non essere lì, ma non ricordo». Poi, verso le 3 del mattino, «tra le macchine si è sparsa la voce di gettare le armi prima dei check-point». Quali armi? «Non so, magari qualcuno si era portato un vecchio fucile da caccia, o un kalashnikov, soprattutto nei villaggi da noi la gente è abituata ad avere armi… qualcosa dai finestrini è volato. Noi avevamo solo un coltello militare, un bel coltello; quando la moglie del conducente stava per gettarlo il marito ha detto ‘no, teniamolo, magari a qualche check-point lo diamo ai militari’». Ma non c’è stato spazio neanche per un tentativo di corruzione, «i soldati azeri ci hanno fermato, mi hanno chiesto di scendere e dopo un po’ mi hanno fatto capire che la mia foto non corrispondeva a quella dei documenti. È l’unica volta in questi mesi in cui ho avuto davvero paura». Dopo un’ora Artem è ripartito ed è arrivato alla frontiera. Dieci ore di viaggio per meno di 100 km.

COME LUI MIGLIAIA di persone, molte delle quali lungo il tragitto sono rimaste senza benzina. L’esplosione del deposito di carburante di lunedì ha lasciato Stepanakert a secco. Sembra che il numero delle vittime sia salito a 125 e a 300 quello dei feriti. La portavoce della Croce Rossa Armena, Zara Amatuni, ci spiega che «è difficile fornire dei dati ufficiali, la comunicazione con il nostro ufficio a Stepanakert è molto complicata». Mentre parliamo un rumore assordante di sirene ci squarcia le orecchie: una colonna di 25 ambulanze si fa strada verso il confine. La Croce Rossa è riuscita a ottenere un corridoio sicuro temporaneo per evacuare alcuni dei feriti. «Ma il contesto sanitario in città è estremamente duro: ci sono persone ferite, altre con malattie croniche o che necessitano di cure specifiche, disabili, anziani».

INOLTRE c’è il solito rischio epidemie, dovuto anche a mesi di malnutrizione a causa del blocco azero. A tale proposito chiediamo se la Croce Rossa ha iniziato a raccogliere prove di abusi e torture da parte delle forze dell’Azerbaigian, così come denunciano da giorni gli armeni. A colazione un’anziana donna presso l’hotel adibito a centro umanitario che ospita lei e la sua famiglia ci ha raccontato di uno stupro avvenuto al suo villaggio, del quale esisterebbe anche un video che i soldati hanno mostrato al fratellino della vittima. Lo raccontiamo a Zara, che risponde: «Abbiamo ricevuto molte segnalazioni in tal senso, ma ciò che possiamo fare è passare le informazioni alle autorità legali competenti e continuare a monitorare il più da vicino possibile». In cielo si sentono degli elicotteri. In qualche modo le parti coinvolte sono riuscite ad accordarsi per evacuare i feriti più gravi.
Ma è anche il gran giorno della delegazione Usa. Samatha Power, la direttrice di UsAid, che si occupa di stanziare aiuti umanitari nelle aree di crisi del mondo, è attesa a ora di pranzo. Scendiamo verso la frontiera con David, un autista di carro attrezzi che aiuta chi non riesce a ripartire. Non prende soldi, «ma se qualcuno mi dà una mancia l’accetto; ogni tanto il comune mi paga la benzina» racconta. Strano che da nessun lato si vedano trincee in costruzione o fortificazioni di sorta, e se l’Azerbaigian dovesse davvero invadere Syunik? Sulla strada uomini di ogni età con i boccioni di plastica da 5 litri affrontano la salita per cercare carburante.

NEL PRIMO pomeriggio un corteo di grosse Toyota nuove arriva al campo della Croce Rossa. Dopo le visite di rito, Power annuncia alla stampa lo stanziamento di 11.5 milioni di dollari in aiuti umanitari e parla della situazione in Nagorno-Karabakh. Ne parla in modo talmente accorato che un giornalista le chiede: «Ma quindi credete che si tratti di pulizia etnica?». Non risponde direttamente, ma dice «stiamo raccogliendo testimonianze di abusi e violenze sulla popolazione civile e stiamo valutando misure aggiuntive». Sono previste delle sanzioni a Baku? Forse, non lo esclude. Chiederanno al governo azero di entrare in Nagorno? «È fondamentale che le organizzazioni umanitarie e gli osservatori internazionali abbiano libero accesso alla regione per prevenire ulteriori violenze contro i civili».

ARRIVA un camion di quelli usati nell’edilizia oppure per la nettezza urbana, con il grande cassone di metallo aperto. Ma non ci sono né materiali né immondizia, è carico di persone. Una signora scendendo quasi inciampa, le chiediamo se vuole raccontare la sua storia: «Cosa volete che vi dica, ho lasciato la mia casa e tutta la mia vita contro la mia volontà».