L’acqua putrida di Conselice sta lentamente defluendo verso il mare, dal canale Zaniolo al Canale di Bonifica in Destra Reno. Da lunedì scorso, nel primo tratto l’acqua ha assunto un colore rossatro, per la presenza (secondo le prime analisi Arpae) di solfobatteri purpurei e alghe che proliferano in scarsità di ossigeno. Più a valle, nei pressi di Mandriole, l’acqua è scura, torbida e vi galleggiano centinaia di migliaia di pesci morti, carpe siluri, anguille, cefali con un odore pestilenziale. Pesci di mare e di acqua dolce si mischiano in quello che sembra a tutti gli effetti un fiume infernale.

IL MARE DI CASALBORSETTI, dove sfocia il Canale, dista pochi chilometri, ed è l’unico tratto della riviera non ancora balneabile, mentre tutto attorno è già pieno di gente che si tuffa (come se l’acqua non si mischiasse). Ma perché sono morti questi pesci? Le prime analisi Arpae dicono che l’acqua è totalmente priva di ossigeno, “anossia” in termini tecnici. Si attendono però ulteriori analisi chimiche per capire se e quali inquinanti ci sono, mentre si cerca di prelevare i corpi dei pesci affinché non finiscano tutti in mare.

LA GENTE DEL POSTO scuote la testa: «Non possono essere morti solo per mancanza di ossigeno, ci è finito anche gasolio agricolo e chissà quante altre sostanze chimiche». Se in natura le alluvioni sono benefiche, in zone fortemente industrializzate come queste, rischiano di aggravare il disastro ambientale, trascinando tutti i veleni in mare.

Luciano Lama, agricoltore biologico da 45 anni ed ex consigliere dei Verdi, è attivista e portavoce del comitato CastaNoMatrix, che da anni si batte contro le industrie inquinanti del territorio: «Lo stabilimento Oda (Officine dell’ambiente) sorge vicino al canale Zaniolo ed è stato completamente allagato durante l’alluvione. Qui vengono trattate le scorie degli inceneritori, rifiuti considerati tossico nocivi, per la produzione del Matrix, un sottoprodotto usato poi nell’edilizia. Come Comitato Casta, a suo tempo, facemmo un esposto alla Procura evidenziando, fra l’altro, come il luogo di questo insediamento fosse inadatto per l’alto rischio di allagamento. Mi chiedo se chi ha dato l’autorizzazione sarà ora chiamato a risponderne per disastro colposo.

Come è possibile vedere da alcune foto aeree il colore dell’acqua all’interno dei terrapieni alzati a protezione dello stabilimento è molto più scuro rispetto a quelle circostanti: forse sono andate in sospensione tutte le scorie presenti? Si vedono anche due pompe in azione che sversano l’acqua ristagnante attorno allo stabilimento nel Canale Zaniolo. Per fare questa operazione l’azienda è stata in effetti autorizzata dal Centro Operativo Comunale (Coc) ma sulla base di un’autocertificazione. Cioè le analisi se le sono fatte da soli!».

LUCIANO LAMA sottolinea anche il problema di subsidenza, il progressivo abbassamento cui è sottoposta la sua terra: «La Botte Selice, cioè quel manufatto che collega il collettore Zaniolo al Canale in destra Reno, da quando è stata costruita, ha perso circa 1,50 metri di quota, la cosa è percepibile anche visivamente. La perdita di quota è dovuta alla subsidenza, ma quella naturale non può essere così impattante, deve esserci qualcos’altro – continua – L’Unigrà (centrale a olio di palma) è autorizzata dall’Autorità di Bacino del Reno al prelievo dal sottosuolo di 2 milioni di metri cubi all’anno.

In 30 anni hanno prelevato 60 milioni di metri cubi di acqua. La terra si è abbassata. Se nell’area della Botte Selice gli argini dello Zaniolo e del Destra Reno fossero stati nella quota originale con ogni probabilità non ci sarebbero state né rotture né tracimazioni di questi argini e avremmo avuto solo l’acqua proveniente dalla rottura del Santerno a Sant’Agata, la metà di quella che ci troviamo ora a gestire».

Lama elenca quello che bisognerebbe fare ora: «Creare lungo il corso dei fiumi ampie zone di colmata, come l’Oasi protetta della Valle Santa e di Campotto, zone umide naturali, che in caso di alluvione si riempiono. Ripristinare le quote degli argini abbassati per subsidenza, e fornire di allaccio all’acquedotto industriale l’Unigrà, onde evitare emungimenti dal sottosuolo, valvole di non ritorno e adeguata manutenzione in tutti i collettori fognari. Chiediamo inoltre uno stop a tutte le concessioni edilizie di nuove case con seminterrati nelle zone depresse».

Resta però aperta la domanda sulle responsabilità di questa marea nera che sta defluendo al mare, sulle sostanze chimiche sversate e sulle autorizzazione rilasciate. Quello che è chiaro, è che con la crisi climatica in atto, la “civiltà” industriale sta mettendo a nudo tutta la sua fragilità e il suo potenziale distruttivo.