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Accorinti: «Accogliere è un’opportunità. Ma non si può improvvisare»

Accorinti: «Accogliere è un’opportunità. Ma non si può improvvisare»Marco Accorinti, docente di sociologia all'università Roma Tre

Romanzo Viminale «Vanno coinvolti gli enti locali, gli ordini dall’alto non funzionano», dice il sociologo Marco Accorinti, docente all'università Roma Tre

Pubblicato circa un anno faEdizione del 20 agosto 2023

Marco Accorinti è docente di sociologia nel dipartimento di Scienze della formazione dell’università Roma Tre. Da anni si occupa di welfare, servizi sociali e politiche migratorie. Ha condotto importanti ricerche sui minori stranieri non accompagnati e i progetti del Sistema accoglienza e integrazione (Sai).

Alcuni sindaci di destra non vogliono ospitare i migranti. L’accoglienza è un problema o un’opportunità?

Tendenzialmente è un’opportunità perché apre spazi di servizio che significano contratti di lavoro, affitti di strutture, fornitori. Avere sul territorio una comunità stabile seguita in progetti di accoglienza crea percorsi guidati di inserimento delle persone migranti che offrono benefici al territorio. Già nel 2018 avevamo fatto uno studio con Cittalia, fondazione dell’Associazione nazionale comuni italiani, e il Centro Astalli per identificare gli elementi che favoriscono la valorizzazione territoriale a partire dall’accoglienza dei migranti.

Quali sono?

Una struttura che offre vitto e alloggio non è garanzia di impatto sul territorio. Servono percorsi di alfabetizzazione e insegnamento della lingua italiana per gli adulti. Inserimento scolastico dei minori. Va tutelata l’identità culturale delle persone accolte, lo scambio, la comunicazione. È necessaria una vera pratica di accompagnamento professionale di singoli e nuclei familiari, secondo tempistiche che variano in base alle specificità del progetto migratorio di ogni persona.

Tra il 2018 e il 2020 gli sbarchi sono diminuiti ma buona parte dell’accoglienza è rimasta emergenziale. Oggi quasi 7 migranti su 10 vivono nei Centri di accoglienza straordinaria (Cas). Funzionano?

La modalità “straordinaria” non era prevista dal sistema, che in realtà è molto semplice. Prevede un primissimo periodo in un centro temporaneo, ora chiamato hotspot, e poi la seconda accoglienza, quella ordinaria. Solo in condizioni eccezionali si dovrebbero attivare strutture straordinarie. Le ricerche dello stesso Viminale hanno mostrato che all’interno di centri senza progettualità è difficilissimo garantire l’inserimento e anzi si crea disagio. Soprattutto per i soggetti vulnerabili, come chi soffre di problemi mentale. Nei Cas si registra un’inevitabile sconfitta dell’investimento statale. Nei centri che superano le 40, 50 o 100 persone, anche con équipe di operatori preparati, per la persona accolta è difficilissimo inserirsi in contesti territoriali che non siano le aree metropolitane. Gli studi affermano che è cruciale la dimensione territoriale nella costruzione dei processi di inclusione e, di conseguenza, il ruolo chiave svolto dagli enti locali.

Nel 2022 avete rilevato che quasi la metà dei progetti Sai, l’accoglienza ordinaria, si trovano nelle aree interne e marginalizzate. Cosa generano in quei contesti?

Un primo aspetto viene fuori dalle risposte degli operatori. L’86% sono impiegati nella provincia di nascita. Significa che persone con diverse professionalità riescono a trovare un’occupazione in aree depresse. Ciò genera benefici anche sul piano della transculturalità, perché questi lavoratori costituiscono vettori di conoscenza e scambio tra familiari o amici e migranti. Così aumenta la sensibilità delle migrazioni forzate e si ottiene un impatto positivo sul territorio. Soprattutto sulle scuole.

Dite che i progetti Sai sono «propulsori di welfare locale». Cosa significa?

Che l’équipe del progetto – coordinatori, assistenti sociali, educatori, mediatori, esperti legali, operatori, psicologi e altre figure – diventa un riferimento per i servizi sociali territoriali. Fa crescere la preparazione legale, sanitaria, sociale, educativa dei soggetti che offrono welfare. Un grosso beneficio arriva anche alla popolazione straniera residente, per esempio ai lavoratori migranti che vivono autonomamente in un certo territorio.

C’è allarme per i minori stranieri non accompagnati. Mancano i posti. Si possono accogliere in centri emergenziali?

Alcune prefetture in passato avevano aperto dei Cas per minori soli. Ma le organizzazioni internazionali concordano sul fatto che queste strutture non li tutelino. Il tema è che i posti Sai non bastano e i centri governativi non sono stati mai attivati. Così i comuni sono costretti a pensare loro alla prima e alla seconda accoglienza. È meglio che tenerli in centri con adulti? Forse, ma il ragazzo straniero ha delle esigenze specifiche che non possono essere trascurate.

Perché i posti Sai non bastano?

Dipende dall’investimento economico. Il governo decide quanto investire e gli enti locali dicono quanti progetti sono eventualmente disposti ad attivare. Uno dei problemi è che nell’ultimo periodo i posti non sono stati sufficienti anche perché, in base all’attuale normativa, nel Sai rientrano minorenni e altre categorie di vulnerabili. Poi c’è il tema dei centri dei richiedenti asilo, alcune gare per i servizi di accoglienza sono andate deserte perché gli organismi attuatori del terzo settore non sono in grado di soddisfare gli standard richiesti a causa dello scarso finanziamento riconosciuto. Così alla fine si torna alle soluzioni d’emergenza: il Viminale agisce d’imperio e decide dove aprire i centri straordinari. Succede da 30 anni anche se tutti gli analisti e gli studiosi concordano che quando arriva un ordine dall’alto e non c’è un’effettiva partecipazione del territorio il livello di insuccesso è altissimo. In pratica avviene quello che ha raccontato Zerocalcare nella sua ultima serie. Nonostante ci siano sufficienti studi e indicazioni sulle buone pratiche, per esempio la fondamentale figura di integrazione svolta dal mediatore, queste rimangono spesso lettera morta. Perché il tema dell’immigrazione parla alla pancia degli elettori ed è troppo facile da strumentalizzare.

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