In uno dei numerosi articoli pubblicati nel crescendo verso la notte degli Oscar (il 10 marzo) il «New York Times» metteva l’accento su come una maggioranza dei film nominati quest’anno siano ispirati a storie vere e a personaggi realmente esistiti – Oppenheimer, Nyad, Maestro e The Killers of the Flower Moon, per esempio. Stranamente (e in una settimana che ha visto passare il Super Tuesday, la visita di Orban a Mar-a-Lago e il discorso all’Unione di Biden), quella dose extra di realtà che scorre nelle vene della novantaseiesima edizione degli Academy Awards rende ancora più vasto lo scollamento tra lo sfarzoso rituale hollywoodiano e la distopia dell’America del presente, che si ritrova infatti più nella sci-fi apocalittico/lisergica del nuovo Dune che nei titoli che saranno celebrati domenica.

AD ECCEZIONE del film di Martin Scorsese, che getta luce su un poco conosciuto capitolo nero della storia Usa, ed escludendo la categoria del documentario, le storie «vere» raccontate al cinema nel 2023 sono storie di brillante visionarietà, creatività artistica, coraggio e determinazione, anche se i loro eroi non sono a prova di macchia – cosa che tutti i film sottolineano. Come se, oggi, Leonard Bernstein, il leader dei diritti civili Bayard Rustin e J. Robert Oppenheimer -con tutte le loro ambizione, conquiste e i loro dubbi – siano diventati personaggi della fantasia.
Nei pronostici – che dall’inizio dell’anno si accavallano a quelli elettorali- il favorito sembra Oppenheimer, sia come miglior film che come miglior regista. Oltre al grande successo critico e di botteghino, pesa il fatto che Nolan è sempre stato un po’ snobbato agli Academy Awards, nonostante i suoi film abbiano regolarmente contribuito alla salute delle casse di Hollywood. Così il cachet storico/intellettuale di Oppenheimer (non un adattamento dai DC comics o uno di quei kolossal di fantascienza concettuale che lasciano perplessi i votanti per questioni generazionali) potrebbe offrire l’opportunità di una redenzione. Senza che si debba aspettare -come successe a Hitchcock- l’Oscar alla carriera. Oltre ad alcune delle categorie tecniche, dove solitamente Nolan è quotatissimo, il suo film sembra destinato a vincere anche in quella di miglior attore non protagonista, con Robert Downey Jr. (fantastico nel film, oltre che il più amato tra i figli prodighi hollywoodiani), ed è posizionato per quella di protagonista (Cillian Murphy, incalzato da Paul Giamatti di The Holdovers) e della sceneggiatura non originale.

SI È SPENTA (meno male) l’annosa polemica sulla marginalizzazione di Barbie, anche perché Povere creature! (che è adattato da un romanzo di Alasdair Gray, ma sventola la bandiera di Mary Shelley) dice sulle donne cose molti più provocatorie e interessanti. Emma Stone, che è produttrice del film di Lanthimos, è al momento la favorita come miglior attrice. E sarebbe giusto che l’Oscar lo vincesse lei. Ma c’è la possibilità che chi vota non resista alla tentazione di un Oscar storico, come quello che andrebbe alla nativa Americana Lily Gladstone, il cui grande talento per le piccole sfumature, era palpabilissimo nel film di Kelly Reichardt, Three Women, ma che in quello di Scorsese (anche per la natura della storia) ha molto meno da fare. È abbastanza scontato che la statuetta di miglior attrice non protagonista vada a Da’Vine Joy Randolph, cuoca che ha perso il figlio in Vietnam, in The Holdovers, di Alexander Payne, un film amatissimo, su un soggetto poco glamour come la solitudine. E, se tutte le strade sembrano portare a La zona di interesse, come miglior film straniero, agli Oscar c’è sempre spazio per una sorpresa -magari per Io Capitano, che qui è uscito da poco in sala ma piace moltissimo.