«Il premio Nobel per la Pace a Abiy Ahmed Ali è ben accettato dai miei connazionali, è straordinario che lo abbia vinto il nostro primo ministro, per la prima volta un etiope». Parla il giornalista Kiram Tadesse, nato e cresciuto ad Addis Abeba, da dove conduce tra l’altro un programma radiofonico molto seguito su Afro Fm. In attesa della cerimonia di consegna del premio Nobel per la Pace, che si svolge oggi 10 dicembre come ogni anno a Oslo, riferendosi all’attuale situazione politica aggiunge: «Negli ultimi temi ci sono evidenti problemi interni, Abiy Ahmed da alcuni è associato alla vecchia casta politica, ma il Nobel è motivo di grande orgoglio per tutti noi».

L’ETIOPIA divenuta tristemente famosa per la carestia del 1984 e fino al 2018 in stato di emergenza perenne, con il nuovo governo è tornata in meno di due anni sulla scena mondiale. «Abbiamo vissuto dei cambiamenti significativi a cominciare dalla libertà di stampa. Ora si può manifestare liberamente la propria opinione, i media sono liberi e vengono stampate molte nuove pubblicazioni», aggiunge Kiram.

 

Comizio di Abiy Ahmed a Meskel Square, Addis Abeba (Afp)

 

Dall’insediamento, il premier ha condotto l’Etiopia nella delicata transizione verso la democrazia. «Quando è andato al potere, nell’aprile del 2018, tutti lo sostenevano con entusiasmo – spiega il giornalista – ma i gruppi etno-centrici, che fanno delle differenze linguistiche ed etniche un motivo di divisione, oggi destabilizzano la situazione politica». Tra i maggiori avversari dell’unità del paese, c’è il popolare influencer inneggiante alle tradizioni oromo, Mohammed Jawar, che guidò le proteste del 2016 contro il precedente governo e a cui Abiy ha concesso il rientro nel paese. Prima dell’insediamento al governo di Ahmed, gli oppositori politici erano regolarmente accusati di terrorismo, torturati e uccisi. Dall’inizio del 2018 la situazione è completamente cambiata, grazie alla scarcerazione di oltre 13mila prigionieri politici e il rientro concesso a tanti altri, tra cui l’attivista Jawar.

Ma il Premio Nobel per la Pace a Ahmed è è stato conferito per «gli sforzi per raggiungere la pace e la cooperazione internazionale» e soprattutto «per la sua decisiva iniziativa per risolvere il conflitto di confine con la vicina Eritrea».

«ERITREA ED ETIOPIA una volta erano un solo paese, infatti abbiamo la stessa lingua e cultura. La pace con l’Eritrea per noi è stato un evento incredibile – dice Karim -, un mio collega è riuscito a rincontrare il padre che viveva in Eritrea dopo vent’anni di lontananza. Prima della pace tra le due nazioni, l’unica cosa che poteva fare era tentare di fuggire dal paese e cercare di incontrarlo negli Stati Uniti o in qualche altra nazione ospitale».

Il primo ministro in pochi mesi dall’insediamento ha posto fine al conflitto iniziato con una guerra sanguinosa legata a questioni di territorio che, in soli due anni, dal 1998 al 2000, ha mietuto oltre 100mila vittime da entrambe le parti e creato 650mila sfollati. La strage si è fermata, ma la successiva guerra fredda ha isolato i due paesi per 18 anni. L’8 luglio 2018 i due leader, quello etiope e quello eritreo, si sono abbracciati e tutte quelle famiglie i cui membri sono stati separati per decenni hanno avuto la possibilità di riunirsi.

Ma all’annuncio dell’assegnazione del Nobel, l’11 ottobre scorso, è stato anche menzionato l’impegno di Abiy Ahmed nel normalizzare i rapporti tra alcuni paesi africani, incentivando la stabilità nel Corno d’Africa e oltre. Abiy Ahmed si è infatti offerto come mediatore tra Eritrea e Gibuti, nel conflitto tra Kenya e Somalia, e in Sudan ha convinto il regime militare a sedersi al tavolo della negoziazione.

DA NEO-PREMIER AHMED si è imposto anche sul tema delle pari opportunità. Risale ad ottobre dello scorso anno la nomina di Sahle-Work Zewde a presidente della Repubblica. Negli stessi giorni è arrivata la nomina di dieci ministri donne nel nuovo governo, un altro record. Il Ministero della Pace è nato negli stessi giorni. E anche sul fronte dell’ambiente il premier ha impresso un cambio di passo, piantando un milione di alberi su tutto il territorio. Eppure, come racconta Karim, «la maggioranza degli etiopi ancora lo sostiene ma rispetto all’entusiasmo iniziale la situazione è cambiata molto. E soprattutto il panorama politico è peggiorato drammaticamente».  L’analista si riferisce agli ultimi eventi che hanno travolto l’Etiopia.

Alla fine di ottobre sono state uccise durante delle proteste a pochi chilometri dalla capitale 86 persone. La rivolta è esplosa dopo che l’attivista Jawar Mohammed, fondatore di Oromia Media Network, con un post su Facebook ha dichiarato di essere sotto attacco da parte del governo, che lo ha privato della scorta. E ha accusato Ahmed di utilizzare metodi «da dittatore». Il primo ministro non ha risposto alle accuse e per evitare di essere identificato con i vecchi metodi dei precedenti governi ha creato il Prosperity Party, un partito composto da tre dei quattro gruppi che formano la coalizione di maggioranza. Ha scelto di non farne parte il Tplf, partito di etnia tigrina, al vertice per oltre trent’anni.

Ma nonostante l’iniziativa, le divisioni all’interno del paese sembrano polarizzare l’attenzione della popolazione, a pochi mesi dalle elezioni. Un voto al quale si sta preparando anche l’attivista Jawar Mohammed, che ha annunciato l’intenzione di candidarsi.

 

Abiy Ahmed e Jawar Mohammed