Una ricompensa da 10 milioni di dollari sulla sua testa, «Specially Designated Global Terrorist» dal 2008 per il Dipartimento di Stato Usa, a lungo a capo dell’ala più stragista dei Talebani e oggi ministro di fatto degli Interni afghano, Sirajuddin Haqqani è apparso il 5 giugno a Abu Dhabi, capitale degli Emirati arabi uniti.

LE FOTO DELL’AGENZIA governativa Wam lo mostrano mentre stringe la mano allo sceicco-presidente Mohamed bin Zayed Al Nahyan. La prima visita (di cui si abbia notizia) di Haqqani all’estero rientra nel tentativo degli Emirati di giocare un ruolo più decisivo nelle faccende afghane. D’altronde a metà degli anni Novanta erano gli unici, insieme ai sauditi e ai pachistani, a riconoscere il primo Emirato dei Talebani, mentre più di recente hanno strappato ai qatarini la gestione dell’aeroporto di Kabul.

Nella visita di Haqqani conta, dunque, la rivalità tra Emirati e Qatar. Il cui governo ha ospitato a lungo i colloqui che nel febbraio 2020 hanno dato vita al controverso accordo di Doha tra americani e Talebani, viatico al loro ritorno al potere. E proprio a Doha si terrà, il 30 giugno e 1 luglio, il terzo incontro degli inviati speciali e dei rappresentanti speciali sull’Afghanistan convocato dalle Nazioni Unite. A differenza dell’ultima conferenza, disertata dai Talebani, questa volta potrebbero partecipare. A quali condizioni, intorno a quale agenda, è materia di tira e molla.

ALCUNE FONTI sostengono che Haqqani negli Emirati abbia incontrato anche funzionari statunitensi e dell’Onu, che sembra tenere particolarmente alla loro presenza, convinta che parlare di Afghanistan senza le autorità di fatto sia poco produttivo. Così, nei giorni scorsi – mentre Haqqani era già in viaggio – il Consiglio di sicurezza ha approvato il via libera ai viaggi all’estero di quattro alti dirigenti talebani: oltre a “khalifa” Haqqani, Abdul Kabir, vice primo ministro, mullah Abdul Haq Wathiq, capo dell’intelligence, e il clerico Noor Muhammad Saqib, ministro dell’Hajj e degli affari religiosi. Una prova di buona volontà verso l’Emirato. Che incassa diplomaticamente.

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Pochi giorni fa il presidente del Kazakistan Kassym-Jomart Tokayev ha annunciato la rimozione dei Talebani dalla lista delle organizzazioni terroristiche, così da rafforzare la cooperazione economica, ha dichiarato. L’annuncio è stato dato nel corso della riunione degli Stati membri dell’Organizzazione del Trattato di sicurezza collettiva (Csto), alla quale hanno partecipato funzionari dell’Emirato. Mentre per Zamir Kabulov, rappresentante speciale della Russia per l’Afghanistan, il governo russo è pronto a sostenere l’adesione del Paese all’organizzazione per la Cooperazione di Shangai, se i Talebani saranno riconosciuti ufficialmente.

La Russia, ha sostenuto la portavoce del ministero degli Esteri Maria Zakharova, tornando su quanto già sostenuto da Putin, sta valutando la possibilità di rimuovere i Talebani dalla lista delle organizzazioni terroristiche. Una mossa indispensabile per «combattere il terrorismo».

PARLARE DI TERRORISMO con chi ha usato tattiche terroristiche non è una buona idea, tuonano diverse organizzazioni di donne afghane, fuori e dentro il Paese, per le quali l’invito senza condizioni dei Talebani a Doha rischia di legittimarne l’apartheid di genere. In una lettera al Consiglio di Sicurezza lo Ngo Working Group on Women, Peace, Security sottolinea «l’incapacità della comunità internazionale di affrontare gli abusi dei Talebani, che continuano a peggiorare», e vengono chiesti «principi non negoziabili sui diritti delle donne, l’inclusione significativa delle donne afghane nelle discussioni e la responsabilità per le violazioni dei diritti umani».