Abruzzo, basta paura
Controcopertina In una delle regioni più belle d'Itala il paesaggio imbiancato è splendido, e le piste da sci sono aperte. Tuttavia turisti - 40%. Le difficoltà di queste zone sono reali ma c’è anche un problema culturale
Controcopertina In una delle regioni più belle d'Itala il paesaggio imbiancato è splendido, e le piste da sci sono aperte. Tuttavia turisti - 40%. Le difficoltà di queste zone sono reali ma c’è anche un problema culturale
In Abruzzo la grande paura c’è ancora. È passato un mese dal sisma di Montereale e Campotosto, e dalla valanga che ha schiacciato l’Hotel Rigopiano. Sono stati rimossi da poco i resti dell’elicottero che si è schiantato a Campo Felice il 24 gennaio.
In questi giorni il paesaggio imbiancato è splendido, e le piste da sci sono aperte. Altopiani e valloni invitano allo sci da fondo, alle ciàspole, allo scialpinismo. Ma nella regione, e tra i suoi frequentatori, si respira un clima speciale.
L’Abruzzo fa paura, e la paura rischia di trasformarsi in psicosi.
La Regione, le Province e i Comuni dovrebbero rassicurare, informare, invitare i visitatori a tornare. Invece emettono divieti a casaccio, chiudono per pericolo di valanghe anche strade e montagne sicure, soffocano le attività economiche, soffiano sul fuoco della psicosi. Dai Parchi, che dovrebbero amare l’escursionismo, arriva un silenzio assordante.
SIAMO A FEBBRAIO, l’alta stagione dello sci. Nell’ultimo fine-settimana, nonostante la neve e il sole, a Campo Felice, Ovindoli e Roccaraso gli sciatori sono stati il 40% in meno di un normale weekend del periodo. Chi c’è andato ha trovato le piste sgombre, e si è divertito di più. Negli alberghi, invece, c’è il deserto.
Il problema non riguarda solo il turismo.
Nelle scorse settimane sono venute drammaticamente alla luce le carenze delle infrastrutture abruzzesi, dalla rete elettrica alla pulizia delle strade dalla neve. E si è toccata con mano l’incapacità di gestire un’emergenza che, su questi monti e a gennaio, dovrebbe essere un evento normale.
La magistratura indaga sui fatti di Rigopiano, e sul pasticcio delle telefonate e delle mail che chiedevano aiuto e alle quali non sono seguiti i soccorsi. Se ci sono responsabilità penali verranno individuate e punite, speriamo. Ma c’è un problema culturale da affrontare subito.
SE IL SINDACO di Farindola, un comune che arriva a 2400 metri, che include canaloni pericolosi e che annovera tra i suoi abitanti allevatori e contadini di montagna, dichiara che senza una comunicazione del Prefetto non avrebbe potuto sapere della neve in arrivo, significa che qualcosa si è rotto. E che la classe dirigente dell’Abruzzo non ha più un legame con la montagna.
«Di questo passo si arriverà allo spopolamento completo dei nostri borghi», spiega Giampiero Di Federico, il più noto alpinista abruzzese, che svolge la sua attività di guida alpina tra Majella, Gran Sasso, le Alpi e le montagne del mondo.
Su tutte le montagne d’Europa, dalle Alpi alla Corsica e dalla Scandinavia ai Pirenei, si è capito da tempo che il turismo è composto da molti elementi diversi. Accanto all’escursionismo e allo sci di pista, che negli scorsi decenni sembrava l’unica ricetta possibile, ci sono l’arrampicata sportiva e l’alpinismo, il volo libero, mountain-bike e canoa, il fondo, lo scialpinismo e le ciàspole, l’osservazione degli animali e il birdwatching. Ogni valle e ogni regione ha il suo mix.
IN ABRUZZO, INVECE, chi d’inverno fa qualcosa di diverso da sciare in pista viene trattato come un intruso, e non come un cliente prezioso. Lo dimostrano i divieti recenti. Una quindicina di comuni (tra questi L’Aquila, Roccaraso, Pietracamela, Rocca di Mezzo e Scanno) hanno proibito sci fuoripista, scialpinismo e ciàspole. Alcune ordinanze prevedono una denuncia penale.
«Vietare intere montagne quando il pericolo di valanghe raggiunge o supera il grado 3 (la scala arriva a 5, nda) è una moda che esiste solo in Abruzzo, che sulle Alpi non c’è, e che danneggia guide alpine, maestri di sci e albergatori», spiega Giulio Verdecchia, dell’associazione Abruzzo Freeride Freedom, che difende lo sci fuoripista.
«La legge regionale sul pericolo valanghe, la n. 47 del 1992, è stata realizzata solo in parte. La carta regionale delle valanghe non è pronta», aggiunge Pasquale Iannetti, guida alpina di Teramo, che ha fatto parte della commissione valanghe del comune di Farindola e ha denunciato nel 1999 il rischio incombente su Rigopiano. «Ci sono valli vietate dopo frane cadute dieci o vent’anni fa. Una guida che ci porta i clienti rischia la galera».
LA CHIUSURA PIÙ ASSURDA, e più dannosa dal punto di vista economico, riguarda le strade che salgono da Castel del Monte e di Santo Stefano di Sessanio a Campo Imperatore. Sono tracciati non minacciati da valanghe, che conducono a un altopiano ideale per lo sci da fondo e le ciàspole. E alla base del Monte Camicia, frequentato da scialpinisti che arrivano da tutta Europa.
«La Prefettura ci ha imposto di vietare l’alpinismo (sic) sul Camicia, la Provincia dell’Aquila ha deciso di non aprire le strade. Nei primi giorni era giusto così, per solidarietà con le vittime», spiega Luciano Mucciante, sindaco di Castel del Monte, che basa il suo turismo invernale sul fondo.
«Abbiamo perso decine di clienti, rischiamo di perderne centinaia. Tra febbraio e marzo hanno prenotato gruppi di scialpinisti svizzeri e tedeschi, se non verranno avremo danni per migliaia di euro», racconta Paolo Baldi, proprietario del Rifugio della Rocca di Calascio.
Castel del Monte, Calascio e i paesi vicini sono uno dei pochi comprensori, nei Parchi dell’Appennino, dove l’ecoturismo c’è davvero. Qualche giorno fa gli operatori economici della zona, dopo una riunione con i sindaci, hanno deciso di rinunciare per ora una class action.
Luciano Mucciante, sindaco di Castel del Monte, fa quel che può. Ha riunito la commissione-valanghe che ha detto che il pericolo è finito, ha chiesto il permesso di riaprire la strada anche a Palazzo Chigi e al Quirinale, ma la Regione e la Provincia non gli hanno ancora risposto. Lo spazzaneve comunale avanza per duecento metri al giorno, ma la sbarra oltre il paese resta chiusa. Scialpinisti allenati partono a piedi dal paese e arrivano sul Camicia, dove la neve è ottima. Vengono dalla Svizzera o dall’Austria, ma la soluzione «all’italiana» l’hanno trovata subito.
Domenica scorsa, a Campo Felice, duecento escursionisti con le ciàspole hanno percorso boschi e pianori di Monte Orsello, in un ambiente innevato e sicuro. La camminata, ideata dalla sezione dell’Aquila del Cai e patrocinata dalla Pro loco di Lucoli, faceva parte di una serie di iniziative a favore di Amatrice. Ma ha lanciato un messaggio diverso.
LA MONTAGNA DEV’ESSERE libera e aperta, chi la pratica è un amico, porta lavoro e reddito, i divieti a tappeto non servono. Trent’anni fa, sui massicci dell’Appennino, camminate-manifestazioni del genere hanno bloccato speculazioni e abusi, e hanno aperto la via ai nuovi Parchi. Speriamo che il messaggio venga recepito anche ora.
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