«Il dibattito sull’aborto ha sempre rispecchiato le altre battaglie che definiscono la cultura americana. La lotta sull’interruzione di gravidanza ha dato forma e rispecchiato il dibattito nazionale sulla sanità, i bisogni dei più poveri, il ruolo e le dimensioni del governo, la famiglia, il valore e il significato della competenza scientifica. A prescindere dalla sorte di Roe v Wade, le vicende legali dell’aborto continueranno a raccontare una storia su che tipo di Paese gli Usa sono stati, e che diventeranno». Così conclude il suo libro – Abortion and the Law in America – la giurista, docente e studiosa Mary Ziegler, che scrive all’indomani della nomina trumpiana di tre giudici conservatori alla Corte suprema, che rendono le forze in campo sproporzionatamente di destra (6 a 3) e minacciano il diritto all’aborto sancito negli Usa dalla sentenza del 1973 Roe v Wade – e confermato nel 1992 da Planned Parenthood v Casey -, incessantemente sotto attacco da parte degli oppositori “pro life”. Che sono a un passo dalla vittoria della loro battaglia.
Oggi infatti la Corte suprema ascolterà gli argomenti contrari e a favore di una legge del Mississippi che vieta l’aborto oltre le 15 settimane, in contraddizione con Roe che lo consente fino alla viabilità fetale. E mentre tutti gli occhi erano puntati sul Mississippi, in Texas dal primo settembre è vietato abortire dopo sei settimane – la Corte ha lasciato che la legge (Senate Bill 8) entrasse in vigore, rimandando a una successiva sentenza il giudizio sul meccanismo inedito creato dallo stato repubblicano, che demanda ai cittadini il compito di denunciare chiunque sia sospettato di aver favorito in qualunque modo un’interruzione di gravidanza. Abbiamo parlato con Ziegler del futuro di questo diritto negli Usa.

In molti vedono la sentenza della Corte suprema sulla legge del Mississippi come la probabile fine del diritto all’aborto negli Usa.
Il motivo principale per cui tutti pensano che la Corte approverà la legge è la sua composizione a maggioranza conservatrice. Trump aveva promesso di nominare dei giudici che avrebbero annullato Roe: era il suo scopo, come quello delle persone che hanno sostenuto la nomina di Neil Gorsuch, Brett Kavanaugh e Amy Coney Barrett. È un obiettivo a cui è stato dedicato tempo e soldi.
Personalmente credo che per Roe e Casey sarà la fine, o l’inizio della fine. Per legittimare la legge del Mississippi la Corte ha solo due possibilità: rovesciare Roe v Wade o cambiarne il significato. Perché la legge vieta l’interruzione di gravidanza oltre le 15 settimane, mentre Roe e Casey stabiliscono il diritto a scegliere l’aborto fino alla viabilità del feto, un periodo di tempo fra le 6 e le 9 settimane più lungo rispetto a quello stabilito dal Mississippi. Di conseguenza la Corte dovrà stabilire o che la viabilità è un parametro incostituzionale, o che non esiste un diritto a scegliere l’aborto.

Cosa si può dedurre dall’approccio della Corte suprema alla legge del Texas?
Bisogna considerare che non era questo il piano: credo che la Corte volesse sbarazzarsi di Roe in un modo specifico, e che il Texas abbia in qualche modo rovinato quei progetti. Quando la SB8 è stata portata davanti ai giudici costituzionali a essere in discussione, infatti, non era la sostanza del diritto all’aborto, ma una questione procedurale. Ma credo che l’elemento più rivelatore sia che la Corte abbia agito come se quello che sta accadendo in Texas non fosse un fatto di grande rilevanza – ha lasciato che la legge rimanesse vigente, anche se aveva seri dubbi costituzionali in merito. È difficile pensare che questo sarebbe accaduto se l’aborto fosse un diritto costituzionale che la Corte ha a cuore.

La SB8 ha un effetto dirompente anche in termini giurisprudenziali, proprio per il modo in cui aggira la legge.
È incredibilmente subdola. Ma credo che molti stati conservatori siano in attesa di vedere cosa succederà, chiedendosi se avranno bisogno di spingersi fin dove è arrivato il Texas: se davvero la Corte suprema rovescerà Roe non ci sarà bisogno di affaticarsi a fare tutti questi trucchi. Uno dei problemi che la Corte si trova ad affrontare nella sua valutazione della SB8 è che non riguarda solo l’aborto: è una sorta di “modello di business” che potrebbe venire applicato a ogni altro genere di regolamentazione, o perfino a qualunque altro diritto costituzionale. Per esempio uno stato liberale potrebbe applicare un modello simile alla regolamentazione delle armi – una cosa che all’attuale Corte non piacerebbe.

Anche se «Roe» e «Casey» sono sopravvissute ai tanti attacchi che gli sono stati rivolti, se ne è erosa la portata con delle restrizioni progressive, come l’approvazione nel 1980 dell’Hyde Amendment che vieta di stanziare fondi federali per finanziare gli aborti. Esiste ancora un diritto all’aborto negli Stati uniti?
Sì e no. Non è più quello che era un tempo, quello che potrebbe essere o quello che è in altri paesi, per esempio in Europa. Ma esiste ancora un diritto nella misura in cui ci sono dei limiti a ciò che gli stati possono fare per restringere l’accesso all’aborto. Se quindi da un lato è giusto porre l’accento su quanto questo diritto sia stato compresso, è anche importante sottolineare come la situazione sarebbe diversa se esso non esistesse affatto: parliamo di uno scenario in cui circa metà degli stati Usa proibirebbero tutti gli aborti, le persone verrebbero condannate al carcere come nei casi di omicidio, intere regioni del Paese non avrebbero cliniche che praticano interruzioni di gravidanza…

Il dibattito sull’aborto si è ampliato fino a mettere in discussione la scienza stessa: una sentenza della Corte suprema («Gonzales v. Carhart», 2007, in cui vengono considerate non risolutive le evidenze scientifiche in merito a una tipologia di aborto che viene proibita) ha inaugurato quella che lei chiama la «giurisprudenza dell’incertezza». Oggi possiamo notare come questa «incertezza» istituzionalizzata tocchi molti altri argomenti scientifici.
Uno degli aspetti principali del dibattito sull’aborto in Usa è stato il disaccordo sui fatti basilari: non c’è un consenso su cosa sia l’aborto, come funziona, se certe procedure siano necessarie o meno, sull’utilizzo di alcuni farmaci – per poi eventualmente dissentire sulle implicazioni morali e legali. Le persone non si informano sugli stessi media, non si affidano agli stessi esperti e non fanno riferimento ai medesimi dati. Questo rende ancora più difficile avere conversazioni ragionevoli, proprio perché non si parla della stessa cosa. Succede anche con il cambiamento climatico, i vaccini – non solo quelli per il coronavirus -, l’obbligo di portare la mascherina. Ma di questa polarizzazione l’aborto è stato ciò che viene chiamato il canarino nella miniera: il primo caso in cui si sono manifestate queste divergenze radicali – potremmo dire sulla realtà stessa – prima che si acquisisse la consapevolezza delle loro conseguenze.

In questa storia di divisioni radicali un punto di svolta è stato rappresentato dalla presidenza Trump.
Penso che molti di questi elementi fossero già lì, e durante la presidenza Trump – e la pandemia – abbiamo solo cominciato a vederli emergere chiaramente. Con Trump le persone che non “abitavano” la stessa realtà fattuale hanno cominciato a farlo in modo che aveva ovvie ripercussioni sugli altri. Credo che Trump non abbia rappresentato una svolta improvvisa, ma un catalizzatore e al contempo una forza che ha reso evidente ciò che stava accadendo.