In tutta l’America Latina, movimenti femministi e difensori dei diritti umani hanno celebrato il voto del Senato argentino, lo scorso 30 dicembre, che consentirà l’aborto legale, sicuro e gratuito. Nel continente che più uccide e penalizza le donne quando si tratta di interrompere una gravidanza, la cosiddetta «onda verde» nata in Argentina rappresenta la speranza. E In Cile, il dibattito sul tema è già iniziato il 13 gennaio, presso la Commissione per le donne e l’equità di genere della Camera.

DA TIJUANA A USHUAYA, ogni anno vengono eseguiti circa 7 milioni di aborti, secondo l’Oms. Studi del Guttmacher Institute sostengono che America Latina e Caraibi hanno il tasso di aborti più alto del mondo (44 per 1.000 donne). Eppure più del 97% delle donne in età riproduttiva nella regione vive in paesi con una legislazione restrittiva, il che significa che il 60% delle procedure eseguite sono considerate non sicure. D’altra parte, la regione guida anche il tasso di gravidanze non pianificate: 96 ogni 1.000 donne tra i 15 e i 44 anni.

Nel continente l’aborto è consentito senza limitazioni a Cuba, Guyana, Guyana Francese, Porto Rico, Uruguay e, da quest’anno, in Argentina. In Messico, soltanto nello stato di Oaxaca e a Città del Messico. All’estremo opposto ci sono El Salvador, Haiti, Honduras, Nicaragua e Repubblica Dominicana, dove ogni tipo di aborto è illegale, anche quelli che avvengono spontaneamente e in caso di nati morti. In alcuni di questi paesi, la pena per abortire può arrivare fino a 30 anni di carcere.

In Brasile, Cile, Ecuador, Panama, Perù e nella maggior parte delle repubbliche sud e centroamericane, la pratica è consentita ad alcune condizioni, come in caso di stupro, malformazione fetale o quando c’è un rischio per la donna incinta. Ma anche qui sono note le barriere istituzionali come la burocrazia, la mancanza di strutture e di personale qualificato, oltre che la pressione sociale e la mancanza di politiche di prevenzione e di educazione sessuale. Durante la pandemia, queste barriere sono aumentate: in Brasile, ad esempio, un sondaggio delle riviste AzMina e Gênero e Número ha rilevato che solo il 55% degli ospedali qualificati per la procedura ha mantenuto il servizio di aborto legale nel 2020.

SECONDO L’ARGENTINA Giselle Carino, ceo della International Planned Parenthood Federation Western Hemisphere Region (Ippf/Whr), colonialismo, razzismo e patriarcato sono alla radice di questa problematica. «La maggior parte delle donne con cui lavoriamo sono nere, indigene, giovani, con disabilità e povere. In questi segmenti le condizioni di salute sono peggiori, ci sono più aborti e le donne sono più criminalizzate», spiega Carino. La storia della schiavitù e la sua eredità di disuguaglianza economica e sanitaria vanno di pari passo alla forte influenza del cattolicesimo. «L’egemonia della religione e il ruolo che assegna alle donne sono il primo ostacolo alla loro autonomia», dice Carino.

In Brasile, uno dei principali movimenti per l’aborto legale cerca nel proprio arsenale teorico religioso gli argomenti per le proprie rivendicazioni. La ong Católicas pelo Direito de Decidir (Cattoliche per il Diritto di Decidere) ha una storia di vittorie come l’approvazione dell’aborto in caso di anencefalia fetale, avvenuta nel 2012. Secondo la presidente della ong, Maria José Rosado, il conservatorismo religioso e il neoliberismo camminano insieme. «L’ultraliberismo ha bisogno delle donne a casa, dedicate al lavoro di cura, facendo ciò che lo stato neoliberista non fa», analizza Rosado. Per lei è un errore trattare i diritti delle donne come qualcosa al di fuori della grande politica ed economia. «È una questione di eguaglianza costituzionale. In uno stato che criminalizza l’aborto, le donne non hanno gli stessi diritti degli uomini, poiché non possono fare con i loro corpi ciò che decidono. Inoltre, è un problema di salute pubblica: l’illegalità causa sterilità e decessi», sottolinea.

COMPRENDERE I DIRITTI sessuali e riproduttivi come una questione trasversale è stata, appunto, una delle chiavi del processo avvenuto in Argentina. «La lotta per l’aborto legale ha coinvolto attori di tutti i partiti politici, sindacati e associazioni. Il paese ha capito che l’accesso a un servizio di aborto sicuro è importante quanto l’accesso all’acqua, al cibo, alla previdenza sociale», spiega Giselle Carino (Ippf/Whr).

Con più di 25 anni di esistenza, la lotta per la depenalizzazione dell’aborto nel paese ha le sue origini nella lotta contro la dittatura e per i diritti umani. La Campagna per il Diritto all’aborto legale e gratuito, che esiste da 15 anni, ha portato al Congresso otto disegni di legge diversi. Nel 2015, il movimento Ni Una Menos ha reso popolare il fazzoletto verde come simbolo della lotta contro la violenza maschilista in tutto il continente.

Un altro aspetto importante, secondo Carino, è stata la forte trasformazione nella rappresentanza politica: con il tema nell’agenda politica, nuovi candidati con una sensibilità femminista hanno raggiunto posizioni decisionali, votate dalla popolazione più giovane. A umanizzare il dibattito ha contribuito la diffusione di casi emblematici come quello di Lucía, 11 anni, incinta dopo una violenza, che non avendo potuto accedere ai servizi di aborto legale è stata sottoposta a cesareo forzato nel 2019.

SE LA VIA TRACCIATA dall’Argentina verrà seguita dai paesi vicini, solo il futuro lo dirà. Carino ricorda che ogni paese ha i suoi processi sociali: in Colombia per esempio le recenti conquiste sono avvenute nei tribunali, non al Congresso. Per Cecilia Palmeira di Ni Una Menos, la legge argentina sull’aborto è segno che l’onda verde continuerà a muoversi nel continente. «Nel 2018 sono nate molte campagne nazionali – dice -. Si sentono venti di cambiamento e i movimenti delle donne e Lgbtq+ sono in prima linea in queste trasformazioni».