Esiste uno spazio fisico intermedio in cui l’occhio e la mente vedono e non vedono allo stesso tempo. Può essere più o meno esteso, più o meno circoscrivibile, più o meno percepibile, e pur nella varietà è possibile pensarlo e viverlo come un luogo, cioè uno spazio legato a una concreta immagine di identità. Una delle descrizioni più antiche e meravigliose di questo spazio ambiguo si trova alla fine di Inferno XVI, 124-136: è l’apparizione del mostro Gerione che, evocato da Virgilio con un rito misterioso (quello della corda gettata nel vuoto), risale dagli abissi infernali. Dante in un primo...