I grilli hanno un ritmo ancestrale, quasi ipnotico; la melodia che creano è una perfetta simbiosi con il tutto. Io ho solo cercato di tradurre quel loro paesaggio sonoro, che mi accompagna da sempre e fa pulsare la notte». Abel Lescay parla di Grllxs, il suo primo lavoro musicale da solista. È un EP con sei tracce che gorgogliano vitalità e una passione dolce.

Da dietro l’inferriata della grande finestra di casa, in un piccolo paese alle porte de L’Avana, gli occhi di Abel Lescay si illuminano e mentre parla gli esce ogni tanto una risata contagiosa. Dobbiamo parlarci così, lui dentro casa e io fuori, con questo musicista di 23 anni, di cui gli ultimi due trascorsi ad affrontare carcere e processi. Ha sul capo una condanna di cinque anni da passare ai domiciliari, in una situazione di limbo da cui non ci sono molte vie d’uscita. Eppure, la bellezza di Grllxs è frutto anche di tutto questo. In una delle tracce, Autorretrato, racconta così di sé stesso: «Come me, la casa canta il suo gran silenzio / la porta respira senza cadere / la fine della sigaretta triste / la pozzanghera che attira il fumo / io, come la pietra immersa nel fango».

Bejucol, dove vive, è avvolto nella campagna. È famoso per la sua linea ferroviaria, la più antica dell’America latina iberica, inaugurata un giorno di novembre del 1827. A un paio di chilometri scorre il fiume, «dove adoro rifugiarmi e sentirmi in connessione con la natura», dice questo pericoloso «nemico dello Stato» che sembra un usignolo.

Nella arbitrarietà della giustizia cubana, la condanna deve ancora scattare davvero: comincerà dal giorno in cui inizierà un lavoro. «Mi hanno assegnato a un’impresa statale che disinfesta le case dalle zanzare. Un lavoro coatto di 10 ore al giorno, per 2500 pesos al mese, circa 20 euro. Quando ho detto alla magistrata che mi rifiutavo di andarci, lei mi ha risposto che potrei evitarlo se mi sottoponessi a una visita psichiatrica», se la ride Abel.

Tutto è successo con le grandi proteste popolari dell’11 luglio 2021. Anche a Bejucol sono scesi in piazza a migliaia, stanchi della scarsità di alimenti e medicine e per reclamare quel tanto di libertà da non morire soffocati nella claustrofobia del regime. Quel giorno Cuba ha perso la paura. «Ad un certo punto la polizia è arrivata e tutti abbiamo cantato l’inno nazionale. Una scena incredibile. La polizia era sorpresa e non sapeva bene cosa fare. Poi gli animi si sono scaldati quando è arrivato l’ordine dal Presidente della Repubblica di reprimere le proteste. Noi gridavamo contro i poliziotti, ma un gruppo ha perso la testa e ha cominciato a tirare pietre alla farmacia, che aveva gli scaffali vuoti anche se eravamo in piena epidemia».

La mattina dopo, all’alba, è iniziata la retata. Senza neppure un mandato di arresto, Abel Lescay è stato portato prima in un carcere, poi in un altro. «Il secondo era orribile, sentivo le urla di chi veniva interrogato». Dopo 15 giorni in cella, lo hanno messo ai domiciliari. A dicembre è stata fissata la prima udienza, poi slittata a febbraio del 2022. In sua difesa si sono mobilitati gli studenti dell’Istituto Superiore di Arti all’Avana, dove Abel Lescay studiava; si è appellato il decano della facoltà con una lettera, lo ha difeso il suo professore di composizione. Niente: la Pubblico Ministero ha chiesto sette anni di carcere, la giudice gliene ha comminati sei. «Mi contestano tre reati: oltraggio aggravato al presidente della repubblica, oltraggio a pubblico ufficiale, disordine pubblico. Agli altri studenti implicati, hanno dato una multa o una pena di non più di un anno. Nel mio caso no». Forse una delle condanne doveva essere esemplare: «È toccata a me».

Per le grandi proteste del 2021, qualcosa di mai visto prima in questi 65 anni di castrismo, nessuno sa quanti siano ancora in carcere dei 381 giudicati colpevoli, secondo i dati ufficiali della Procura nazionale, compresi 16 giovani tra i 16 e i 18 anni. Trentasei sono state le pene inflitte tra i 5 e i 25 anni di carcere: tra loro anche un altro musicista, il rapper Maykel «Osorbo» Castillo, protagonista – assieme all’artista Luis Manuel Otero Alcántara, delle clamorose azioni di disobbedienza civile tra il 2018 e il 2020 note come Movimento San Isidro. Osorbo è anche uno degli autori di Patria y vida, diventato l’inno delle manifestazioni di quel luglio.

Per Abel Lescay, ha alzato un po’ la voce persino Silvio Rodriguez, il cantore della Rivoluzione, conosciuto in tutto il mondo per essere uno dei padri della Nueva Trova cubana: «Un giorno, nel suo blog, mentre parlava d’altro, ha detto che nel mio caso avrebbero dovuto far vedere il processo in tivù e mostrare le prove. La cosa deve aver suscitato un certo sconcerto anche in qualche corridoio del regime». E così, qualche mese dopo, in appello, dopo una manciata di ore e nessun testimone o prova, gli anni sono diventati cinque da scontare a casa.

È allora che ha preso forma l’idea di un disco agli arresti domiciliari. La sentenza in appello è stata un duro colpo, racconta il musicista, «ma mi fa fatto accelerare tutto. Non avevo ancora scritto canzoni e non credevo di saper cantare bene. Avevo suonato in una band rock, Reflejo de la piedra en el agua, con cui abbiamo fatto un disco nel 2020 presentato al Museo di Bellas Artes. In quarantena e dopo il processo, ho cominciato a pensare a un mio lavoro. Componevo, le sei tracce fluivano, allora ho contattato David».
David D Omni è un rapper e produttore cubano di successo. Ha accettato subito, ma alla condizione di far presto: aveva già il biglietto per andarsene dal paese, così come hanno fatto tanti cubani, 500 mila si stima solo nell’ultimo anno. A quel punto, Abel Lescay ha lanciato il crowdfunding, «mi ha aiutato un’ex-docente dell’università, Anamely Ramos, ora in esilio: in poco tempo ho raccolto i 2.500 euro necessari. E così siamo approdati in studio, coinvolgendo anche alcuni amici per i fiati. Ci sono andato tutti i giorni, sgattaiolando via da casa».

Il paesaggio sonoro di Grllxs è splendido, l’arrangiamento curato con maestria. Si apre con una ballata quasi sussurrata, avvolta nel mondo notturno che prende vita; respira di bossa nova e jazz; si chiude con le parole di una libertà lunga ad arrivare: «Sono un nemico dello Stato / con la mia chitarra e i capelli spettinati», canta in Libérense. «Quando è uscito il disco, non potevo presentarlo pubblicamente. Il concerto di lancio l’ho fatto in questo living, di fronte ai miei genitori e un paio di amici: una cosa molto intensa, molto emozionante, che non dimenticherò mai». Da allora, le tracce del disco girano clandestine a Cuba.

«Alla fine, non mi sono laureato. Questa vicenda ha stravolto la mia vita e intanto mi hanno negato la possibilità di riprendere il corso, dicendomi di riprovare con l’anno nuovo. Chissà, quando avrò la testa fuori da questa vicenda, finirò i miei studi».

La madre di Abel ad un certo punto ha lanciato un appello per l’amnistia a tutti i condannati per i fatti dell’11 luglio. Ma nessuno crede sia possibile, a meno che le pressioni dall’estero siano così forti da convincere il regime: è la stessa richiesta che la delegazione europea ha presentato a gennaio di quest’anno.

«Non so come farò, non voglio arrivare ai 30 anni dopo essere stato sepolto vivo. Per ora la mia vita legale è appesa a un filo. A volte vedo la magistrata per strada, non la odio; penso invece che questa signora, nei giorni del mio processo, mentre chiedeva per me quella pena spropositata, aveva appena saputo che anche suo figlio era emigrato illegalmente negli Stati Uniti». Si ferma un attimo e ride, ride forte come sul punto di spezzarsi.