La localizzazione indica un punto tra i governatorati di Gafsa, Kasserine e il confine algerino. Tre giorni fa in quel punto erano 200 le persone abbandonate nel deserto tunisino, senza niente. Oggi sono rimaste in sei. «A un certo punto ci siamo divisi, non so dove siano andati gli altri», è il racconto di Daina, ragazza originaria del Camerun arrivata in Tunisia tre mesi fa. Mentre parla in sottofondo si sente un bambino piccolo piangere: «Ha tre anni, con noi ci sono anche due donne incinte. Sono tre giorni che non facciamo altro che camminare, camminare e ancora camminare. Siamo stanchi, io sono l’unica che ha ancora il cellulare e si sta scaricando. Dopo non sappiamo cos’altro fare».

Il manifesto è riuscito a contattare Daina grazie alla segnalazione di una sua connazionale che in questo momento si trova ancora a Sfax in un’abitazione insieme ad altre 20 persone, rinchiuse a casa per paura di essere arrestate. La situazione in città e nel deserto rimane drammatica. «Era il 3 luglio quando siamo stati aggrediti a colpi di pietre nella nostra abitazione poco fuori Sfax. Ci siamo spaventati molto, siamo rimasti chiusi in casa e abbiamo chiamato la polizia. Ci hanno detto di non avere paura, che ci avrebbero portato al sicuro. Ci siamo fidati di loro e siamo saliti su uno degli autobus. Dopo qualche ore eravamo 200 persone abbandonate nel deserto».

I giorni passano e la sicurezza di riuscire a sopravvivere ai respingimenti di massa che dal 2 luglio stanno interessando la Tunisia diminuisce. Ci sono difficoltà nel riuscire a entrare in contatto con le oltre 700 persone che in questo momento si trovano lungo la frontiera algerina e libica. Tuttavia alcune testimonianze arrivano e mostrano tutta la drammaticità di questi giorni: «Per favore venite ad aiutarci, siamo senza forza – è il racconto sospirato di un ragazzo di origine ivoriana – fa molto caldo e sono già 48 ore che siamo nel deserto verso la Libia. C’è chi ha perso coscienza e abbiamo dovuto lasciarlo indietro. Abbiamo sete e siamo senza cibo, non sappiamo come faremo a uscirne, c’è chi non è più in grado di camminare. Non so se ne usciremo vivi. Qualcuno provi a chiamare la Croce rossa, ho paura di morire qui. Mandate questo messaggio a chi ci può aiutare». Un momento di silenzio e le parole lasciano spazio solo a un pianto lungo e disperato.